domenica 21 dicembre 2008

maledettamente adattabile

è grossomodo da un anno che mi gira in testa un elogio dell’adattabilità. una grandiosa capacità di adattarmi, infatti, mi ha fatto convivere con un sacco di situazioni complicate. però, poi, questo elogio non l’ho mai scritto perché penso che allo stesso tempo quella stessa capacità di adattarmi mi frega tutte le volte. i treni sono sempre più in ritardo? piano piano, mi ci abituo. vivo in una casa più piccola? col tempo, mi adatto alle nuove scomodità. la coda del mattino peggiora? eppure non cambio strada: mi assuefaccio. aspetto una telefonata che non arriva? alla fine mi accomodo sul fatto che non arriverà mai. credo ormai di essere in grado anche di allargare delle scarpe strette. e a volte arrivo al punto di allargare anche le scarpe strette agli altri. forse è arrivato il momento di sfilarle quelle scarpe e tirarle in faccia al bigliettaio, a quello che mi tampona, a chi non mi telefona, a chi non rispetta la fila, a chi mi tossisce addosso senza chiedere scusa. almeno questo è quello che penso dopo una domenica passata davanti allo schermo della tv, spenta, immaginando da lontano i cotillon dello shopping natalizio. cotillon ai quali non mi sono mai adattato. per tutto il resto, temo che continuerò ad adattarmi (ma con una scarpa in canna).

mercoledì 17 dicembre 2008

come tex

luci spente. temperatura sui cinque gradi. andamento lento. un cinese mi tossisce addosso a intervalli regolari. andamento lentissimo. lamentele assordanti ai cellulari. andamento fermo. credo che il cinese stia per vomitare. un pensiero alle hawaii. dopo venti minuti si riparte. un ringraziamento all’onnipotente. il cinese doveva solo tossire. altro ringraziamento all’onnipotente. se proprio deve vomitare che lo faccia addosso al controllore. mi faccio largo per scendere. scendo. guardo l’ora. insulto l’onnipotente. sono le nove. guardo con odio e pietà la stazione effeesse. due ore e dieci minuti per percorrere i 23 chilometri che mi separano dall’ufficio. prego l’onnipotente: ridammi la mia macchina alla svelta. domani si ricomincia. cammino verso casa. penso che in caso di pioggia eviterò il tram: non mi piace la nuova fermata “sempione lago”. cerco le chiavi. da qualche altra parte del mondo sta partendo la frecciarossa: un’ora per andare da milano a bologna. la frecciarossa è arrivata. apro la porta. sento pungere: è la frecciarossa che si è infilzata proprio in culo ai pendolari. starnutisco. in cinese. strappo la freccia come tex. ma dovrò cenare in piedi.

martedì 16 dicembre 2008

pioggia, rum e (a)rachidi

decidere di cambiare lavoro è stato un parto. dunque, non potevo farmi mancare una piccola depressione post parto. per fortuna la mia inerzia è stata scossa da un tale con la golf aziendale che mi ha tamponato al semaforo scuotendomi una cosa, che si chiama rachide cervicale, di cui non conoscevo l’esistenza. adesso che la conosco e mi fa male la curo con la tachipirigna, un farmaco brasiliano leggermente alcolico (ne esiste anche una variante russa, la tachipiroska, senza dimenticare la tachipirissima che è pensata per chi con l’analgesico preferisce il rum). e poi qui non smette di piovere: c’è da impazzire. anzi, se non fossi così impegnato ad avere sonno, sarei già impazzito.

venerdì 5 dicembre 2008

apparecchiatevi voi

si avvicina a grandi balzi il 25 dicembre. che porta in dono i giorni dei parenti apparecchiati. sarebbe il momento giusto, adesso che si è finalmente svuotata, per scappare sull’isola dei famosi. magari non con la prima che passa, aggiungerei in un impeto di romanticismo natalizio.

“very superstitious, writing’s on the wall…”

certe sere mi siedo davanti alla tivù. poi, per fortuna, non mi ricordo più dove ho messo il telecomando. allora ripiego su un giornale dove può capitare d’imbattersi in un’intervista a una nota giornalista, moglie di un noto politico. leggiucchio distrattamente, fino a quando il botta e risposta prende una piega drammatica: si parla della crisi economica e delle sue cause. “tutta colpa del viola”, è la chiave di lettura. sì, il colore-porta-sfiga, da un po’ sdoganato dalla moda. mannaggia agli stilisti e agli italiani che lo portano: come non averci pensato prima? il viola è ormai dappertutto: bruciate quei tappeti da arcivescovado, per favore, buttate le camicie da paramento funebre e le sciarpe cinerarie. malmenate i trend setter dell’upim, dell’emporio armani e dell’ikea. e, soprattutto, chiedete scusa ai banchieri col conto in svizzera, ai finanzieri creativi, ai consulenti spacciatori di bond argentini, ai broker cocainomani: lasciate che si sfilino il senso di colpa (se ce l’hanno) che noi ci sfiliamo il maglione più ganzo che abbiamo.

e beccatevi ‘sto stevie:
http://www.youtube.com/watch?v=wDZFf0pm0SE

senza titolo

“nel mio silenzio anche un sorriso può fare rumore”.
lucio battisti, “nel cuore, nell’anima”

giovedì 4 dicembre 2008

sant'anonimo, intercedi per noi

nella coda del mattino c’è un anonimato affascinante. tutti uguali, uno dietro l’altro, tutti in fila. prima, seconda e, molto di rado, terza. camion, smart, suv e cinquecento. nelle orecchie, erretielle, digei, conigli che ruggiscono, radiopopolari, rassegne stampa, travestiti moralisti o compact disc. più spesso, telefonini. tutti a farsela passare, nell’attesa di scavalcare finalmente quel semaforo o quella rotonda messa lì da un assessore che deve aver studiato la viabilità a sumatra.
ma c’è sempre qualcuno che cerca di uscire dall’anonimato, e sfreccia beatamente a sinistra della fila rischiando il frontale con i salmoni che risalgono controcorrente. io preferisco restare quatto tra gli anonimi, a invidiare i salmoni che trovano acqua libera salvo in caso di frontale col protagonista del giorno. secondo me l’anonimato è ormai la più somma tra le virtù, e non solo se sei in coda al mattino. oggi ci credo davvero, a costo di essere ricordato come il secondo degli 883.
domani, poi, magari cambio idea e parto in quarta in corsia di emergenza, tanto le cose che scrivo qui hanno il valore di un giorno o due, come le farfalle. e certe volte nemmeno quello.

lunedì 1 dicembre 2008

la troppa gentilezza

“amico mio, benvenuto nei carpazi. vi aspetto con ansia. riposate bene questa notte. domattina alle tre la diligenza partirà per bucovina; troverete un posto riservato per voi. al passo borgo ci sarà ad aspettarvi la mia carrozza che vi porterà fin qui. spero che il viaggio da londra sia stato buono, e vi auguro un felice soggiorno nella mia bella terra.
il vostro amico,
dracula”.
bram stoker, “dracula”, lettera a jonathan harker, 5 maggio 1819

essemmesse mics

“scusa, stasera non ce la faccio, sono a pezzi”
“ti capisco. se mi fossi alzato io alle sei come fai tu adesso sarei al pronto soccorso, addormentato dentro la tac”
“ma non è solo la stanchezza. è che non mi si può guardare”
“cosa ti succede? hai la sindrome di oscar wilde al contrario?”
“sapessi cos’è, potrei provare a rispondere…”
“dice che in certe sere ti guardi allo specchio e trovi i tuoi capelli così perfetti che non puoi restare in casa”
“appunto. io invece certe sere ho delle occhiaie così artistiche che non posso uscire…”
“… e già, rischi che quelli della lipu ti scambino per una civetta in via d’estinzione. poi ti mettono nell’oasi protetta con il gufo-califano, la specie più rara e ingrifata che c’è. pensa che non vede una civetta da due anni, esattamente da quando l’hanno impallinato. ma siccome l’hanno impallinato proprio lì tecnicamente non corri rischi”
“prrrrrrrrrr… stavo bevendo il caffé e ne ho spruzzato metà sul tappeto dal ridere…”
“meglio così. c’è la crisi e le tintorie hanno bisogno di clienti”
“a proposito di crisi. il tuo vecchio lavoro? hai risolto quei casini che avevi in ballo?”
“sì, abbiamo trovato un discreto accordo. per ora lo stanno mantenendo”
“tanto non hai un amico avvocato?”
“sì, se è per quello anche uno anestesista, però non vorrei… dai adesso ti lascio. auguri per domenica, l’anno prossimo ti faccio la torta”
“la battuta migliore la tieni sempre per il finale?”

giovedì 27 novembre 2008

fornelli disperati – dalla simmenthal a vissani

posta in arrivo: c’è una nuova mail. l’oggetto è: “seduzione a tavola. le francesi seducono con lo champagne, le spagnole col pepe verde, le tedesche col dessert. le italiane? prendono il partner per la gola con le ricette della tradizione”. è il risultato di una ricerca appena pubblicata. bene. e pensare – penso – che io vengo via con una simmenthal. e per due sofficini cotti al punto giusto – ripenso – potrei anche prendere in considerazione uno scambio di fedi.
poi, sarà una congiunzione astrale, sarà il caso, sarà un disegno divino. sarà. fatto sta che proprio in questi giorni in cui ho deciso di svoltare e diventare uno chef semi-professionista (personal trainer, lettura di riviste specializzate, sedute auto-motivazionali di rinuncia davanti allo scaffale piatti pronti del supermercato, venti flessioni punitive ogni volta che sbaglio a dosare il sale e, quando scuocio gli spaghetti, cinque giri di corsa dell’isolato coperto dal solo scolapasta), proprio in questi giorni, dicevo, non mi capita di dover intervistare gianfranco vissani? chessefapecampà. tecnicamente è stato come far comunicare il campione mondiale di sci di fondo con un indigeno delle isole salomone (in questo caso io sarei quello sulla spiaggia con i fiori al collo, un freesbee inserito nel labbro inferiore e il gonnellino di paglia). però, tutto sommato, penso di essermela cavata. anzi, ho anche estorto al maestro una ricetta semplice semplice per una serata carina (e non è a base di simmenthal).

(ri)forme

mi è cascato un occhio distratto su una notizia dal titolo “nude per la gelmini”. leggo: sembra che dodici studentesse emiliane, dai 19 ai 33 anni, si siano spogliate e fatte fotografare in un calendario per sostenere la riforma della scuola del ministro mariastella gelmini. “i nostri nudi sono contro un vecchio modo di gestire le università e contro le proteste di piazza”, chiariscono le fanciulle, tutte universitarie più o meno in corso. il risultato della protesta starebbe nel calendario “sexpolitik 2009”. a questo punto, siccome sono camionista nell’animo, attendo ansioso nuove riforme.

giovedì 20 novembre 2008

fornelli disperati - la tisana

nella vita bisogna rimangiarsi molte cose. succede. ma mai, davvero mai, avrei pensato di dovermi rimangiare anni di battaglie contro le tisane: le ho sempre ritenute inutili come un ventilatore a gennaio e invitanti come un piatto sporco nel lavandino. e poi assolutamente poco marketing: se racconti in giro che bevi la tisana devi subito compensare chiarendo che fai il pugile, sei abbonato a playboy e ti lavi i denti con la grappa. mica che…
insomma, nel mio immaginario le tisane sono da sempre infusi inutili: infutili, per essere sintetici. eppure.
eppure da qualche sera prendo la tisana: ho raccolto un suggerimento contro la pancia gonfia e l’ho fatto mio. d’altronde viaggio da una settimana con un tamburo sciamanico che spinge sulla cintura: una novità assoluta, che osservo dall’alto con curiosità e orrore. è lo stress, dicono. sarà. fatto sta che ho provato prima col carbone vegetale, sposando la causa verde delle energie rinnovabili: sono andato a eolico per un giorno, ma la biomassa è rimasta nel mio corpo. poi la persy, un’amica spacciatrice di semi di finocchio, mi ha aperto un mondo nuovo: la tisana al finocchio, appunto. però, credo per punizione divina (gli dei della tisana sono numerosi e potenti, ce n’è uno per ogni infuso: dalla rosa canina che non abbaia fino alla noce di rabarbaro etrusco), il teatrino della preparazione dell’infutile è stato da mettere su youtube. innanzitutto ho mandato a temperatura di fusione nucleare l’acqua. quindi, messo in preallarme il centro grandi ustionati di niguarda, ho versato il liquido ormai in fiamme nella tazza dove avevo preventivamente scucchiaiato un po’ di finocchio. il tutto si è svolto in un clima sereno e di grande fiducia. in diretta telefonica mi assisteva l’amica elle che, con la pazienza di madre teresa di calcutta, mi ha incitato e guidato nell’operazione. quindi ho mescolato e lasciato riposare qualche minuto l’infutile. e solo a quel punto mi sono reso conto di non aver mai posseduto un colino, forse perché non lo vendono nel reparto piatti pronti del supermercato. ma fermarmi sarebbe stato da codardo e ho deciso di sorbire comunque l’infutile: ho incollato le labbra al bordo della tazza, tipo ventosa, utilizzandole come diga per i semi e, con rapidissimi rilasci, ho lasciato passare la brodaglia di verdura. che ora, in compagnia di qualche seme garibaldino, è alla caccia dei gas che mi tormentano.

domenica 16 novembre 2008

qualcosa di più

dicono che da macondo non si va via. eppure qualche anno fa me n’ero andato. ma poi, siccome da macondo, in fondo, non si va via, quattro mesi fa ci son tornato. ora, in un qualsiasi giorno di novembre, ho trovato la forza per andarmene di nuovo. per andare a star meglio, dicono. ma senza essere giocondo. perché macondo, in fondo, ti frega. mi frega. c’ha sempre fregato. perché macondo, tante volte, non si è spento alle 19:00 insieme al mio computer. a macondo ci sono gli amici, i pittori da intervistare e i grandi discorsi sul futuro. ma il futuro non arriva mai.
devo dire grazie al mio amico b che si è inventato la definizione di macondo per quell’ufficio dove lo lascio e che abbiamo condiviso per un po’. spero che se ne vada anche lui prima che arrivi il biblico vento che, come nel libro di garcia marquez, spazzerà via macondo.
per una volta ho giocato d’anticipo nel lavoro come quando giocavo a calcetto. e, a ripensarci, con i pantaloni corti anticipavo bene. vediamo se mi riesce anche con quelli lunghi. in fondo sto solo cercando qualcosa “di più”, come dice questa bella canzone:
http://www.youtube.com/watch?v=x-_31kdQFWs&feature=related

sabato 15 novembre 2008

la cattiva reputazione

"nel villaggio senza pretese, avevo una cattiva reputazione (...)"
george brassens, "la mauvaise reputation"

martedì 11 novembre 2008

quando serviva

mia nonna è morta nel 1999 a cento anni suonati. suonati da pochi giorni, per la verità: giusto il tempo di festeggiarla e se ne è andata. qualche parente vive da allora nel dubbio di aver esagerato con l’affetto durante le celebrazioni del secolo di vita. in effetti la nonna dovette affrontare, nell’ordine, una breve cerimonia sul pianerottolo di casa, acclamata dai condomini di mezza vita; una cena con i parenti stretti e, due giorni dopo, un mega party stile carramba-che-sorpresa con gente che non vedeva da quarant’anni, compresi alcuni sfollati che aveva ospitato a casa durante la guerra. per fortuna vennero evitati collegamenti con “la vita in diretta”, ma non i cori alpini.
ieri ho visto un film, “big fish”, che me l’ha ricordata. anche lei, seppur in misura molto minore rispetto al protagonista di tim burton, amava ogni tanto condire le storie per accalappiare l’attenzione dei nipotini. e lo faceva con un grandioso mix di realtà e finzione, di cui mi sono rimasti solo dei momenti: la sorella incenerita da un fulmine sulla panchina di fronte a casa, il cugino ubriacone che, tornando in cascina la notte, vide il diavolo sotto forma di caprone, un paio di ebrei nascosti in soffitta durante i rastrellamenti del 1944, le notti gelate passate nei fossi durante i bombardamenti, l’incredibile appetito di una tal “rosa burlon” che per la stazza elefantiaca non passava dalle porte, l’incomprensibile inquilino del piano di sopra a cui sarebbe mancata gran parte della lingua, il gatto sparito per tre anni e poi tornato a casa senza una zampa. una galleria di drammi, facezie e personaggi freak da scriverci una sceneggiatura. o anche solo da ricordare di tanto in tanto. fossi stato meno scemo e avessi preso appunti, quando serviva.

giovedì 6 novembre 2008

fornelli disperati (in collaborazione con l’anto-lì)

una lettrice consolidata di questo luogo di traccheggio digitale, fidanzata di un mio carissimo amico, mi ha dato involontariamente una grande idea: una rubrica periodica di cucina per casalinghi disperati. cucina semplice e accessibile, naturalmente. cucina commisurata alle capacità di quei disabili sentimentali e culinari che sopravvivono forzando scatolette di tonno ai piselli, ciucciando surgelati e incendiando toast. gli stessi che, nelle serate buone, sfruttano gli inviti degli amici che hanno la morosa che cucina bene. o che elemosinano un piatto caldo da amiche altrettanto disperate le quali, gettata alle ortiche ogni velleità di serata mondana, mettono in pratica gli eterni insegnamenti di nonna papera per l’affamato di turno. pensavo di chiamarla “la rubrica dell’anto-lì”, perché la mia amica-lì ha un debole per “mezzogiorno di cuoco”. però mi piace anche “fornelli disperati”. si accettano suggerimenti.
cominciamo con l’arrosto al limone, che l’anto-lì lo fa da dio.
“ingredienti: arrosto di vitello, 1 limone, pane grattuggiato, formaggio grana, olio, sale. fare rosolare la carne nell’olio, quando risulterà ben dorato da tutti i lati, ricoprirlo per 3/4 circa di acqua calda alla quale vanno aggiunte 2-3 fettine di scorza di limone (mi raccomando solo la parte gialla della buccia e non quella bianca!). salare. lasciare cucinare la carne a fuoco medio- basso e ogni tanto girarlo. a cottura quasi ultimata (nella pentola è rimasto circa mezzo bicchiere di fondo di cottura o qualcosa in più), levare la carne e aggiungere in parti uguali pane e formaggio grattugiati (circa 5 cucchiai di ciascuno), mescolare bene fino a ottenere una crema omogenea. affettare la carne e rimetterla nella pentola con la crema al limone”. e grazie all’anto-lì.
volendo, accompagnare con abbondante barbaresco per festeggiare i freschi s-barack-amenti alla casa bianca. se ce l'ha fatta lui, nulla è impossibile, persino che io faccia l’arrosto. e allora via, in tavola.
yes, i can.

mercoledì 5 novembre 2008

l'ottimista malinconico

“c’è un nuovo gatto sulla scrivania di athos faccincani. avrà un mese. è arrivato qui da pochi giorni, salvato per il rotto della cuffia: «era denutrito, mezzo morto. ora sta bene», ci racconta il maestro. fuori in giardino suo figlio sta preparando il cavallo per il concorso ippico. «gli ha passato la passione per l’equitazione?», chiediamo. risponde: «altrochè, lui è cavaliere per professione».
siamo a monzambano, nel mantovano. in questa specie di eden sulle colline moreniche del garda gironzolano con la coda in su anche dodici cani trovatelli, chiacchierano un paio di pappagalli e sbadiglia una truppa di gatti. qui vien facile sedersi e ascoltare quello che su vita, arte e sentimenti ha da raccontare uno dei pittori italiani più amati. che te lo racconta con quella sua miscela unica di malinconia che, quando meno te l’aspetti, diventa gioia di vivere. e viceversa”. (...)

ho scritto questa cosa per lavoro. questa cosa poi prosegue con un po’ di domande e un po’ di risposte. quando ho finito di scrivere, ho pensato che il titolo giusto era “vi racconto la pittura di un ottimista malinconico”. era una proposta, che non è passata. il titolo è stato cambiato. letta la nuova versione del titolo, una collega mi ha detto che le dispiaceva: preferiva la mia. grazie, collega. e poi ha aggiunto: “forse l’ottimista malinconico eri tu”. ecco, mi sono fatto sgamare, come si diceva quando portavamo i pantaloni risvoltati fino a metà polpaccio su terrificanti calze scozzesi.

domenica 2 novembre 2008

"ne abbiamo così poco"

"vivere è come scolpire: bisogna togliere, tirare via il di più. avere orpelli e oggetti che al vivere quotidiano sono inutili provoca ansie. la vita ne offre già abbastanza, perché cercarne altre? se porto il rolex da quaranta milioni lo devo difendere. ho paura che me lo rubino, che prenda botte, che prenda umidità, ho paura di smarrirlo. così mi creo una preoccupazione, un affanno in agguato. questo vale per l'auto di lusso e altre mille cose. l'oggetto ha una precisa funzione e deve svolgere quella. l'orologio serve a misurare il tempo, l'automobile a spostare l'uomo velocemente da un punto all'altro. perciò, quando abbiamo un buon orologio e una buona automobile, dovrebbe bastare. spazzando via il superfluo potremmo investire in tempo libero. ne abbiamo così poco. sedersi, abdicare, leggere, pensare, conversare all'osteria. in altre parole, godersela un tantino prima dello scacco finale (...)".
mauro corona, "cani, camosci, cuculi (e un corvo)"

in ascensore

a milano sono finiti i tempi belli in cui, chiuso in ascensore con un estraneo, bastava un cenno d'intesa per cominciare a parlare del tempo: "fa un caldo tremendo, colpa dei condizionatori". "piove da tre giorni, chissà se smetterà". "bisogna vestirsi a cipolla". ormai il traffico ha seppellito il clima. e allora per riempire il vuoto di tre piani bisogna ingegnarsi: "la tangenziale est è peggio della ovest". "se c'è un incidente a bergamo si sente anche ad assago". "colpa di quelli che parcheggiano in seconda fila". "sul raccordo anulare di roma è peggio".
personalmente la trovo un'ingiustizia colossale: ogni giorno della settimana dovrebbe avere il suo luogo comune. per questo sto pensando a una linea di t-shirt che, indossate sotto maglioni o giacche, ci possano aiutare in questa grande battaglia di civiltà.
lunedì: "una volta si poteva dormire con la porta aperta" (maglietta girocollo con manica lunga, bianca o grey. a partire da 22 euro)
martedì: "gli italiani li trovi dappertutto" (canottiera tricolore, in omaggio se compri il girocollo del lunedì)
mercoledì: "in sicilia ci sono dei posti meravigliosi ma non sanno sfruttare il turismo" (lupetto nero, 25 euro - la versione rubata 12 euro al casello)
giovedì: "premetto che non sono razzista" (canotta xxxl al ginocchio con i colori dei detroit pistons, che non conosco. 30 dollari)
venerdì: "la colazione è il pasto più importante" (viola che va di moda, manica corta. con un euro in più sulla spesa per i possessori di fidelity card)
sabato: "sanremo era meglio l'anno scorso" (polo tipo lacoste verde scuro o azzurro. 55 euro)
domenica: "se vai col treno, poi non hai il problema di parcheggiare la macchina" (bianco-nero doubleface. la scritta sul retro sarà: "quando c'era lui i treni arrivavano puntuali". prezzo nd)

non ci sono più i diditì di una volta

"come mosche della scorsa estate, che d'inverno sono ancora qui. e rivangano immondizie andate, scontente della vita ma immuni al diditì".
sergio caputo, "effetti personali"
dopo certi momenti in ufficio, passati davanti a una macchinetta del caffé a dare un modesto contributo alla gara di lamentele tra colleghi e colleghe, penso che non ci siano più i diditì di una volta. e che caputo, più di dieci anni fa, aveva caputo tutto.

attaccamenti

certi giorni mi tornano in mente i bambini del servizio civile. bambini parecchio sfigati. stavano in una comunità in attesa di affidi e adozioni, accuditi da educatori più o meno partecipi alla loro causa e obiettori di passaggio selezionati rigorosamente a casaccio da un distretto militare. mi ricordo benissimo il pomeriggio che arrivai in quella piccola scuola adattata a comunità: "che cazzo vuoi" fu la cosa più gentile che mi dissero. eppure, pochi giorni dopo, se ne stavano aggrappati ai miei pantaloni, affezionati come dei cani scodinzolanti: per mia fortuna, avevo capito in fretta che era sufficente non far loro troppe domande e trattarli come qualsiasi altro bambino. una volta conquistata la loro fiducia, però, cominciarono i problemi. quelli veri. sì, perché qualcuno di loro si sentì in dovere di darmi una piccola idea di com'era finito in quel purgatorio di anime giustamente tolte alle rispettive famiglie.
più di dieci anni dopo, il ricordo più netto è l'attaccamento nostalgico che i bambini dimostravano comunque nei confronti dei genitori. genitori che, nella migliore delle ipotesi, li avevano messi al mondo per riempirli di botte.
non vorrei sembrasse una bestemmia. però quell'attaccamento è per certi versi simile a quello che si prova per una persona che sentimentalmente ti ha usato come scopino del cesso. ripulito il water dalle svirgolate del passato, lo scopino - che per un momento è parso importante - non serve più. eppure per mesi o anni, secondo gusti, testardaggine e sensibilità, lo scopino mantiene un irrazionale attaccamento nei confronti di quella mano che lo brandì. conosco più di uno scopino e, nel mio piccolo, qualche cesso l'ho pulito anch'io.
poi un giorno ti svegli e metti a fuoco. e vorresti un giudice cattivo che ti togliesse di peso da casa. sei pronto per farti adottare. poi, metti che non ti adotta nessuno, almeno lo scopino non lo fai più.

mercoledì 29 ottobre 2008

s-combine

nuovo messaggio - ricevuti - leggi: “ho conosciuto una ragazza. si chiama zeta, è carina, simpatica, le piace la montagna, jovanotti e va in bici. te la devo presentare”. mmm, premetto: sfuggo a tante serate, ultimamente, ma da sempre alle serate combinate. non fanno per me. finirei per parlare tutta la sera col cameriere croato pur di non incrociare lo sguardo della predestinata, rovescerei almeno un paio di bicchieri e al conto sarei già a casa a guardare south park da un’oretta buona. ma la serata è aperta ad altra gente, meno male. si può fare un giretto.
il problema è che un amico, annusato il tentativo di combine, e complice qualche bicchiere in più, si fa prendere la mano. e in presenza di zeta parte con una sequenza quantomeno sospetta di elogi pro domo mea. talmente sospetta che sembra un epitaffio. al che mi faccio scaramantico: “guarda che non sono ancora morto”, gli spiego interrompendolo a tre quarti del sermone funerario. ma l’amico non desiste, e va giù coi punti forti: mi piace la montagna (vabè), sarei simpatico ma anche profondo (olè), sommo esperto di questo e un grande a fare quest’altro (e vai!). mi aspetto che da un momento all’altro estragga un mio curriculum vitae per consegnarlo alla sventurata signorina. il gioco è talmente demenziale che a sprazzi mi diverto. negli sprazzi in cui non mi diverto, allora affogo l’imbarazzo nel vino rosso e mi alzo dieci volte da tavola fingendo di cambiare il cd nello stereo. zeta se ne tornerà a casa convinta che le abbiano presentato un premio nobel per la letteratura, per la pace e per la copula, con la verve comica di totò, che nei ritagli di tempo sfida il k2 con rheinold messner cantando a squarciagola, ma intonato, canzoni di jovanotti e degli u2. poverella. in pratica, avessi avuto una chance su un milione si è già volatilizzata, così come la bottiglia di bianco nel bicchiere del mio amico.
ma la serata prosegue. c’è la tele e south park lo posso guardare anche qua. chiacchierando, poi, scopro che zeta è un’incasinata pazzesca: con una vita sentimentale serena come un incidente stradale, galleggia su una crisi spiritual-esistenziale-generazionale. per fortuna non si mangia le unghie, sennò sarebbe davvero il mio tipo e mi verrebbe voglia di riprendere il pisello dal chiodo a cui l’ho momentaneamente appeso. insomma, grazie amico mio, penso. o forse dovrei dire grazie al litro di bianco che ti sei aspirato. metti che questa poi mi piace e si finisce in montagna per buttarci di sotto? meglio una cubista cubana: se mi butto dal cubo al massimo mi slogo il cuba libre (e una caviglia). ma mentre inneggio alla cubana già non ci credo. domani compro un paracadute, si sa mai.

venerdì 24 ottobre 2008

l'Asciugamano

in ufficio. pausa pipì, mi lavo le mani e poi mi trovo di fronte l'Asciugamano. faccio un'eccezione: metto da parte le mie profonde convinzioni sull'uguaglianza assoluta di tutte le lettere davanti al punto, e non solo, e lo scrivo con la lettera maiuscola: l'Asciugamano. e sì, se lo merita: lui è lì da tempo immemore. il suo colore originario si perde nella notte dei tempi, così come la sua capacità di asciugare. ormai è scientificamente umido, paludoso, tentacolare. è un polipo, una sintesi tra il muschio e la stoffa, una nuova forma di vita molto democratica che continua ad accogliere mani di uomini diversi ma uniti dalla stessa azienda e da un solo grande tentativo di record: non contrarre la malaria nonostante l'Asciugamano.
a gennaio verrà una delegazione del guinness per le misurazioni ufficiali. e l'importante è che quelli delle pulizie, mannaggia a loro, non s'accorgano del Grande Umido rovinando un primato ormai certo. per nostra fortuna, si è mossa anche la chiesa: ratzinger ha fatto sapere che l'Asciugamano non va lavato né sterilizzato perché in quel modo verrebbero uccisi milioni di embrioni di batteri. e il battere è vita.

mercoledì 15 ottobre 2008

butta via tutto! butta via tutto! puliti!

amici sportivi, quando il sole ti spacca in quattro... io, come dan peterson, bevo l’estathè. detto ciò, vedendo in questa mailing list qualche psicopatico che come me si ostina nella corsa, nonostante un’età non più verde, mi pregio di segnalarvi una simpatica campestre la prossima domenica. sono sei o dodici chilometri, secondo i gusti e il grado di doping. si parte alle nove e alla fine ti regalano il cacciatorino e il succo di frutta. io vado: la gazzetta dei navigli mi pronostica in medaglia, sempre che riesca ad alzarmi in tempo per la gara. realisticamente mi vedo da primi quaranta, considerate anche le assenze degli atleti impegnati in quei giorni nelle paraolimpiadi a pechino. con me ci sarà un ex collega che alcuni di voi conoscono come il kiptanui di boffalora.
vostro, abebe
caro abebe, orca miseria: il naviglio in questi giorni è in secca e non possiamo nemmeno buttarci dentro per rinfrescarci un po’. io la scorsa settimana ho fatto un’altra uscita di allenamento da sette chilometri e sono andato in over training. adesso sembro michael jackson: ho perso tutta l’abbronzatura e trascino le gambe. ma domenica conto nel solito effetto bagarre della gara (oltre che nell’incontro che avrò con il ciclista lance armostrong domani sera: pare che abbia qualcosa da darci. se armstrong non si presenta all’appuntamento faticherò a star dietro al servizio scopa. punterei allora deciso al vicodin o a qualsiasi aiuto che ci possa arrivare dall’ambiente ippico).
tuo, dr house

dead man walking

“eppure, ogni volta che il coraggio mi franava, capitava qualcosa che mi faceva rinascere la speranza. quella notte fu il riflesso della luna sulle onde. il mare era agitato e in ogni onda mi sembrava di vedere la luce di una nave. erano due notti che avevo perso la speranza di essere soccorso da una nave. eppure, per tutta quella notte diafana di luce e luna – la mia sesta notte in mare – scrutai l’orizzonte disperatamente, quasi con la stessa intensità e la stessa fiducia della prima. se ora mi ritrovassi nelle medesime circostanze morirei di disperazione: ora so che la rotta che faceva la zattera non è la rotta di nessuna nave”.
gabriel garcia marquez, "racconto di un naufrago"
è la cosa che ho pensato questa sera vedendo a matrix l’intervista a roberto saviano

la spettatrice

maledetta primavera! maledetta primavera? sì, maledetta primavera proprio come cantava la goggi, mi dice la mia amica erre. oggi è tornato da un viaggio e mi ha chiamato, mi dice ancora la mia amica erre. ha un lavoro nuovo e vive con la fidanzata da un po’, hanno comprato casa assieme, mi dice sempre la mia amica erre. e da ieri ho anche mal di gola e febbriciattola, aggiunge la mia amica erre. penso: che sfiga, cara amica erre.
maledetta primavera: adesso capisco. la primavera, me la ricordo anch’io cara amica erre, è quella di tre anni fa quando perdesti la testa per quello che adesso è tornato. e insieme alla testa perdesti anche la speranza di una vita un po’ meno da spettatrice. però, tornata a fare la spettatrice, stai scoprendo piano che si soffre un po’ meno di fronte ai ritorni. ne sono sicuro cara amica erre. forse è solo merito del tempo che passa. e forse un giorno gli attori ti daranno un premio come “miglior spettatrice non protagonista”: hai presente quei premi per quelli che pagano sempre il biglietto, se c’è da ridere ridono, se c’è da piangere lo fanno piano, per non disturbare in sala, non spingono per entrare e nemmeno per uscire? il premio sarà un’altra comparsata di un paio di mesi. il palco sarà bello, il copione anche. comincerai a recitare, sentirai i violini e – pam!pam! – arriverà il regista. pam!pam! con due colpi di pistola. e – pam!pam! – la tua parte la darà a qualcun altro. speri di no, fai gli scongiuri, mi dai del disfattista. ma lo sai che andrà così. e allora, cara erre come ragione, sii ragionevole: mettiti comoda sulla tua poltrona e almeno goditi il prossimo spettacolo.

cinque giorni che ti ho perso…

una collega in ufficio ha messo una canzone di zarrillo come sottofondo per lavorare. credo s’intitoli “cinque giorni”. pensavo che andrebbe benissimo anche negli ospedali come alternativa all’eutanasia. poche discussioni in piazze e parlamenti, che lo sfortunato pur di non sentirla si stacca la spina da solo, senza aspettare cinque secondi (altro che cinque giorni).

martedì 14 ottobre 2008

questioni di odiens

mi sento in vena di cose impegnate. dunque resto in tema “isola dei famosi”. un’amica mi dice di aver letto un articolo sull’ultima puntata (lo fa per lavoro, non è drogata), firmato da un tale che faceva lo spiritoso sul latinorum della conduttrice. la ventura deve aver sparato una cazzata in latino sui morituri o qualcosa del genere: e che ti aspetti dalla simona che parla col bidello che sta in spiaggia con le calze al ginocchio controllata a vista da luca giurato? il feroce censore firmatario dell’articolo, però, qualcosa di più s’aspetta. così la rampogna duramente citando l’imperatore claudio e le declinazioni. peccato che due righe sotto, poi, scriva audience con la “o”: odience. proprio così. ora è candidato unico al premio derek zoolander.

martedì 30 settembre 2008

il non famoso

milano-roma, atterraggio all’aeroporto di fiumicino. un amico coraggioso è appesa sceso da un volo alitalia o cai (club alpino italiano?) o come si chiama adesso. scrive: “sto leggendo le vostre mail dall’aeroporto e non posso fare a meno di dirvi che ho viaggiato di fianco a mango, con caterina caselli e mario capanna la fila avanti. due file oltre c’era la lessa”. temo abbia mentito sulla destinazione: stava andando in honduras come non famoso all’isola dei famosi.

non si sa più come vestirsi

metà settembre, mi arriva una mail da formentera. è di un amico sacramentante che si sta facendo una settimana di vacanza sotto l’acqua. è lo stesso con cui nell’agosto del 2007 ho condiviso cinque giorni (su otto) di piogge monsoniche in sardegna e altrettanti in montagna, con la sola differenza che nel secondo caso ci si è mischiata anche un po’ di neve. e ricordo un’anziana sarda che in coda al bancomat mi disse: “è dal 1979 che qui non pioveva cinque giorni di fila”. non commentai e, seppur con rammarico, ne presi atto, anche se la voglia di percuoterla con del pecorino fu forte.
mi sono sentito invece in dovere di rispondere alla mail dell’amico: “ormai sei in grado di far piovere ovunque – gli ho scritto –. organizza un mese nel biafra che risolviamo una fetta dei problemi dell’umanità”.
bon, oggi non ho proprio voglia di lavorare se mi sono messo a parlare del tempo, e pure da solo.

16 agosto

metti una sera a sentire un concerto. metti che il concerto è al mare. metti che la cena è un gelato da mezzo chilo. metti che quella sera è nel bel mezzo delle vacanze. metti che c’è pure l’eclissi di luna. metti che dalla spiaggia all’arena arriva una brezza da pelle d’oca. metti che la pelle d’oca ti viene anche per qualche canzone. metti che al concerto è pieno di belle ragazze. metti che dopo un sacco di tempo stai cominciando a ritrovare il piacere di guardare quanto sono belle. metti che trovi un bel posto per piantare la tenda dopo il concerto. metti che un cinghiale rumoreggia intorno alla tenda. metti che il tuo amico “intothewild” lo allontana con la pila. metti che ci dormi sopra. metti che, quando torni nella civiltà, la colazione del 17 agosto ti sembra la più buona da un bel po’. metti che per due giorni nella tua testa ci son meno bestie che nella foresta. metti che un mese dopo qualche bestia comincia a tornare. metti che forse trova chiuso.

giovedì 25 settembre 2008

un analcolico biondo per l’innominato

non ho l’età, non ce l’ho più, non ce l’ho mai avuta. ieri sera ho fatto tardi e oggi in ufficio mi sentivo un grande invalido. nemmeno un’idea buona, sbadigli da slogarmi la dentiera, difficoltà anche nel fare solamente “invia e ricevi”. quattro caffé in otto ore non sono bastati: adesso ho giusto un principio di palpitazione cardiaca ma il sonno è sempre lì, appollaiato dentro e non se ne va. tutta colpa di un amico che ieri ha festeggiato il suo trentanovesimo compleanno, un numero che fa paura solo a dirlo. niente di che: quattro chiacchiere, un paio di birre, cose così. ma non si festeggia il martedì alle 22:30, mannaggia ai tuoi 39 anni. il martedì alle 22:30, al massimo, si può allenare il pollice sul telecomando, soprattutto se cade d’autunno quel martedì. fatto sta che per mandar giù torta e bigné ho bevuto pure un caffé notturno e un cocktail, e a quest’ultimo non ci sono abituato. risultato: la notte dell’innominato di manzoniana memoria. metà l’ho passata a guardare lezioni di fisica teorica su rai due, l’altra metà a cercar di capire quanto gas c’era nel cocktail (probabilmente si chiamava “eni” e non “americano”). e poi una sete antica: ho finito l’acqua che c’era in casa (tre bicchieri) e sono passato al crodino. era l’unico liquido a portata di mano, a parte il detersivo per la lavastoviglie. ne ho bevuti due evitando di accompagnarli con le olive, sennò era un aperitivo e dovevo invitare anche victoria cabello con lo scimpanzè. e alle 3 e 45 mi sembrava di disturbare.

martedì 16 settembre 2008

o famo eco?

scopro in questi giorni che anche facendo l’amore si può inquinare. così, almeno, dice una nota associazione di ecologisti senza limiti. che ha stilato un decalogo per essere “verdi” anche sotto le lenzuola. suggeriscono, tra l'altro, di farlo a luci spente (e fin qui...) e in un letto di legno proveniente da foresta certificata ("aspetta amore, che sti fenomeni dell'emmebislunga non hanno la certificazione"). ma è un crescendo: agli amanti dello "spanking" (le sculacciate) chiedono di usare frustini fatti di materiale non inquinante e naturale (magari il granito?). sconsigliano poi di usare eco-lubrificanti a base di petrolio (minchia sono?). gran finale: per risparmiare acqua la doccia è meglio farla insieme. una bella doccia fredda a sto punto e poi a nanna, che a me sta eco-trombata mi pare un pò un casino.

giovedì 11 settembre 2008

martedì 9 settembre 2008

sorpresa

la psicosi sicurezza è ormai fuori controllo. anche in germania. leggo che metteranno al bando l’ovetto kinder: è pericoloso per il bambino che potrebbe confondere la parte-cibo e la parte-gioco che stanno a contatto. fossi un bambino m’incazzerei: “oh, guarda che sono piccolo mica coglione!”. però almeno i tedeschi fanno sul serio: se s’impuntano l’ovetto sparisce con tutte le sue sorprese. mica come in italia dove le nuove leggi e i giri di vite durano il tempo di un’estate. ci pensavo proprio ieri sera, preoccupato perché stavo al volante dopo una birra media ma orgoglioso di parlare al telefonino con l’aiuto di un auricolare. davanti a me sbandava da destra a sinistra una smart e ho pensato: chissà cosa si è bevuto… ma và, parlava al cellulare (senza auricolare) fumando una sigaretta. il tutto davanti ai vigili, troppo impegnati a sanzionare due mezze ruote parcheggiate sulle strisce pedonali per fermare il cretino zigzagante.

venerdì 29 agosto 2008

una storia di campagna

sono stato a vedere la mostra di ligabue con due amici: intothewild e il collega b. in questi giorni mi sono passati davanti alcuni flash di quei quadri così colorati, inquietanti e ingenui ma, per me, bellissimi. nella mia estate basata sulla ricerca massima di semplicità (microtenda, zaino, rapporti umani quasi azzerati, la riflessione su quanto può essere buono un pezzo di formaggio in un rifugio e quanto sprint ti può dare una fetta di limone in salita) quella rappresentazione della vita di campagna, anche se molto ripetitiva, mi è piaciuta. volevo scrivere qualcosa sulla mostra. ma, sempre per amor di semplicità, ho trovato più semplice incollare qui sotto la recensione che b ha scritto per il giornale per cui lavora. la condivido, è perfetta, ed è così semplice non aggiungere altro. col permesso dell'autore.

"voglia di tenerezza. e consapevolezza, quasi ostinata, di non poterla avere, né in vita né in arte. ho visitato la mostra di antonio ligabue, a milano, e ho pensato a salgari – con tutte quelle tigri dipinte – ai cartoni animati, alle fiabe orientali, al caminetto di casa. tra animali, castelli, scene di caccia e colori chiassosi ho pensato del pittore senza regole, vagabondo e segnato dalla follia, a un bimbo che sogna e che chiede al disegno di realizzarne i desideri. e poi ho guardato negli occhi i soggetti dipinti, quasi mai umani: "la lepre", il "cane setter in ferma", i signori de "ritorno dai campi con castello" mirano lontano dal centro abitato, le spalle opposte agli uomini, il destino affidato a un sentiero, la sconfitta in una ragnatela ("interno con ragnatela"). infine, ho visto un'incredibile passerella di autoritratti, tutti con gli occhi mesti, a un angolo, da umile contadino che parla agli umili. che ha voglia di tenerezza. e che sa che nessuno gliela può dare".

sogno di una notte di fine estate

l’altra notte ho sognato una ragazza che non vedo da un bel po’. mi è venuta incontro e mi ha abbracciato con grande partecipazione. mentre lo faceva, ho sentito nitidamente le sue belle forme puntate addosso e ho pensato: “questo non è un abbraccio da amica”. ma subito dopo ha attaccato a parlarmi, con ingenuo entusiasmo, del suo fidanzato. mi sono svegliato subito, sudato come un’anguilla: a giudicare dalla luce era più o meno l’alba di un’altra giornata più o meno del cazzo. ho cercato di riaddormentarmi ma non ce l’ho fatta. mentre mi facevo la doccia, alle sei del mattino, ho pensato che lo sceneggiatore di un sogno così carota e così bastone, così nutella e così merda, s’è fatto influenzare da questo blog che è un po’ vero e un po’ per finta, un po’ speranza e un po’ realtà, un po’ tentativo di conquista e un po’ racconto di sconfitta.
finita la doccia, davanti allo specchio mi sono scrutato per bene. ed è stato come m’immaginavo: ho visto ancora parecchio sangue uscire da quel taglio che, mentendo a me stesso, spacciavo per una cicatrice.

oh my bod(y)!

oggi ho corso dieci chilometri in poco più di un’ora. mica male se considero la mia età quasi da divano, un morale alterno da canzone di jovanotti ma cantata da mia martini e una leggera pancetta da fine estate. domenica faccio una garuncola di corsa amatoriale insieme a un amico: pensavo di presentarmi al via con un body alla federica pellegrini per tagliare l’aria e i cinque cerchi olimpici tatuati sulla schiena. senza dimenticare la colazione: una tazza di latte caldo con l’epo.

segni della fine del mondo

c’è un mio amico che si è sempre vantato di cagare più della marcuzzi. e senza l’ausilio di activia, dosi di bifidus, imbarazzanti perette, bicchieri d’acqua calda al mattino presto, prugne secche e preghiere ai santi intercessori del colon. per lui il cereale è storicamente un’inutile escrescenza vegetale e la dolce euchessina una cosa per femminucce stitiche e nervosette. regolarissimo anche lontano da casa, il ragazzo ha pure fatto qualche volta lo sborone con i tappati di turno: anch’io anni fa in marocco ebbi una lunga interruzione che si sbloccò solo con uno tsunami malato causato dall’aver bevuto acqua dalla doccia. la bevvi, in assenza di altri liquidi, in una notte di terribile sete e afa con l’aria condizionata in albergo rotta. non ricordo se fu peggio la pigrizia interiore o la generosità febbricitante che seguì. ricordo bene, invece, la serenità intestinale ostentata dall’amico, che chiamerò activia, in quei miei giorni di quiete e successiva tempesta.
ieri sera, però, activia mi messaggia da una trattoria del portogallo: “ho ordinato due minestre – scrive – mi servono per andare in bagno”. un altro segno della fine del mondo che si avvicina, dopo lo scioglimento dei ghiacciai e i plurimi scudetti dell’inter.

lunedì 4 agosto 2008

la mia canzone preferita, almeno per oggi

if you see her, say hello, she might be in tangier
she left here last early spring, is livin’ there, i hear say for me that i’m all right though things get kind of slow
she might think that i’ve forgotten her, don’t tell her it isn’t so
we had a falling-out, like lovers often will
and to think of how she left that night, it still brings me a chill
and though our separation, it pierced me to the heart
she still lives inside of me, we’ve never been apart
if you get close to her, kiss her once for me
i always have respected her for busting out and getting’ free
oh, whatever makes her happy, i won’t stand in the way
though the bitter taste still lingers on from the night i tried to make her stay
i see a lot of people as i make the rounds
and i hear her name here and there as i go from town to town
and i’ve never gotten used to it, i’ve just learned to turn it off
either i’m too sensitive or else i’m getting’ soft
sundown, yellow moon, i replay the past
i know every scene by heart, they all went by so fast
if she’s passin’ back this way, i’m not that hard to find
tell her she can look me up if she’s got the time
bob dylan, "if you see her, say hello"

domenica 27 luglio 2008

una domenica sera d'estate, come molte altre

"ero contento di quella tavolata (...) i miei genitori non avrebbero mai capito fino in fondo la mia riconoscenza per la loro idea di vita, fatta di un'onestà totale e di cose quotidiane, piccole e preziose (...)".
emiliano gucci, donne e topi

sabato 26 luglio 2008

lasciatemi godere questa foto

c'è un sacco di retorica sugli stati uniti che mi ha stufato. c'è una parte di quel paese assolutamente detestabile, guerrafondaia, bigotta, melgibsoniana, texana e idiota. è un paese dove la metà della gente non vota perché non si sente rappresentata. e dove vendono le armi al supermercato. ma c'è un'altra parte, e non è piccola, dove è cresciuto uno come obama. è la parte che mi ha dato la chitarra di ben harper, le battute di woody allen, una bibita buonissima che continuo a tracannare (forse troppo), la pallacanestro, gli attori di hollywood che sul circuito di laguna seca vanno a vedere valentino che sgasa in testa a stoner, e chissà quante altre cose che adesso non mi vengono in mente.
scrivo questo perché le foto del bagno di folla, da rock star, che barack obama ha fatto a berlino mi hanno quasi commosso. non mi appassiona la politica, nè tantomeno quella americana. non mi agito per una campagna elettorale comunque impregnata di retorica. però che un politico che arriva dall'altra parte del mondo, un politico nero, soprattutto, riesca a radunare 200mila persone festanti in una piazza nel mezzo dell'europa mi fa accorciare il respiro. come non mi succedeva da un bel pò. chissà perché. forse lo so: questa foto è arrivata sui giornali insieme a quella di bossi che mostra il dito medio durante l'inno di mameli: roba da guinness dei primati (senza offesa per i primati, i nostri antenati pelosi). come ci permettiamo di guardare in casa d'altri quando abbiamo eletto e rieletto un ministro così?
poi, leggo che gli esperti di marketing politico dicono che per obama la trasferta in europa si rivelerà controproducente in vista della possibile elezione. echissenefrega. per un minuto, lasciatemi godere questa foto.

prenderò l'ultimo treno della notte...

"Prenderò l'ultimo treno della notte per stringerti tra le mie braccia". ho avuto la fortuna di conoscere francesco musante, l'artista che ha fatto questo quadro-fiaba. è un pittore affermato, nonostante questo di una disponibilità unica. è una persona schiva e riservata ma che ti lascia qualcosa pur dicendo tre parole.
dice che il suo pubblico è composto soprattutto da giovani e giovanissimi perché accettano con più semplicità la parte infantile delle sue opere. ma io credo che ci sia anche un sacco di gente con qualche annetto di più a cui piace ancora rimanere a bocca aperta.

giovedì 24 luglio 2008

quattro stracci in padella

oggi chiacchierando con un amico al telefono ci è venuta fuori questa strana combinazione musical-surgelata: "quattro stracci in padella". "quattro stracci" è una bella canzone di guccini, un pò rancorosa e forse troppo dotta come altre cose sue, scritta dopo un lungo amore finito. i "quattro salti in padella" sono un'istituzione per i casalinghi disperati. e poi quattro stracci stanno diventando certi vestiti che metto sempre, quasi con accanimento. nonostante nell'armadio stiano appesi, più o meno disordinatamente, diversi altri panni. ma certi jeans, certe scarpe gialle e certe camicie azzurre (che m'hanno detto: ti stanno bene) sono come il cd del momento, che lo ascolto in continuazione. e poi non so da quanto tempo non compro vestiti: il mio shopping compulsivo è raro e indirizzato su libri, dvd e musica.
allora quei "quattro stracci in padella" sono una piccola foto, molto artistica, degli ultimi due anni della mia vita. aprissi adesso un blog lo chiamerei proprio così. e questo sarebbe una sorta di editoriale. allora lo firmo. e grazie a effe.
-m

venerdì 18 luglio 2008

guttalax

il mio amore-odio per milano è ormai ingestibile. rileggendo alcune cose che ho scritto su questo blog mi sembra quasi di doverle delle scuse. sarà che in questi giorni è estate ma sembra primavera e non c’è traffico e sto facendo un lavoro che mi piace e ho preso i biglietti per andare a vedere un altro concerto di jovanotti. ma poi torneranno il traffico e la pioggia e gli isterici e il lavoro mi piacerà di meno e di andare ai concerti non ne avrò più voglia. è da tanto che gira così. l’unica differenza è che con gli anni la mia serenità è sempre più sporadica. sono uno stitico della serenità: poi quando esce è bella, ma a farla uscire che fatica. così, quando non la faccio l’aspetto, soffro, me la prendo con chi c’ho a tiro: me stesso, milano, la mia famiglia.
comunque, come dice la canzone, alla fine ammetto che “mi piacciono i tuoi quadri grigi, le luci gialle e i tuoi cortei. milano sono contento che ci sei”.

che brutta parola

alla fine sono tornato al cinema. niente multisala ma il cortile di un castello. un leggero venticello ha pure tenuto lontane le zanzare: le ho barattate volentieri con il mezzo torcicollo del giorno dopo. ho visto "il vento fa il suo giro", una storia di vita semplice di montagna. ma, soprattutto, una bella fotografia su quanto è difficile incontrarsi, capirsi, coesistere.
nella mia vita ho sempre pensato che i "tolleranti" erano quelli bravi, e gli "intolleranti" i cattivi. invece c'è un passaggio fantastico di questo film in cui il protagonista dice: "la tolleranza è una parola che non mi piace. se devi tollerare qualcuno è perché non c'è uguaglianza".
poi, prima dei titoli di coda, è passata la scritta "il vento fa il suo giro e tutto ritorna". chissà se è vero. boh, tanto per cominciare sono ritornato al cinema.

venezia e popcorn

qualche giorno fa sono stato a una conferenza. tra i relatori c’era vincenzo cerami, un signore che tra le altre cose ha scritto un film da premio oscar. parlando di cinema, pubblico e critica ha raccontato un aneddoto bellissimo. negli anni sessanta, quando era un giovanissimo autore agli esordi, dice che esisteva una proiezione-test dei film prima della loro uscita. proiezione alla quale gli autori imberbi non potevano assistere. la reazione del pubblico, allora, era da leggere nelle facce dei produttori dopo il test. se era andato tutto bene erano sorridenti e annunciavano: “dalla prossima settimana siamo nelle sale”. s’era andato male, cioè se le cavie avevano mugugnato, sbadigliato o se n’erano proprio andate dalla sala, il produttore scrollando la testa annunciava: “niente da fare. questo film lo mandiamo al festival di venezia”. ecco, in questa storia c’è tutto quello che penso da anni sulla cultura alta e sulla cultura bassa.
oggi le cose per fortuna un pò sono cambiate. purtroppo sono cambiate anche le attrici. oggi ci becchiamo la bellucci, all'epoca cominciava la cardinale. guarda che bella (e che brava). comunque questa riflessione mi ha fatto tornare la voglia di andare al cinema. era un sacco che non ci andavo, per un’infinità di motivi. principalmente perché da un po’ di tempo le proposte per andarci mi arrivano da gente con cui non ci voglio andare. una serata al cinema è una cosa importante, mica un giro al multisala a spendere dodici euro per pieraccioni e i popcorn. se vado avanti a ragionare così mandano anche me al festival di venezia (quello degli anni sessanta).

in realtà credo che tra certa arte troppo seria, quella dei film vietnamiti con i sottotitoli da guardare vestiti di nero e con la ruga fissa in mezzo alla fronte, e i vanzina ci sia una sana via di mezzo. la maggior parte del pubblico la puoi trovare lì. me compreso.

giovedì 17 luglio 2008

orologio biologico

sembra che tra le future mamme milanesi ci sia una "mangiagalli-mania". leggo che per partorire in quella clinica ci sono file epocali. un'amica over trenta mi dice che venerdì esce con uno nuovo per un aperitivo. le ho consigliato di fissare per la mangiagalli tra un paio d'anni. al massimo è sempre in tempo a disdire.

domenica 13 luglio 2008

purtasse sfiga?

cito a caso, frugando qua e là nella memoria. le grandi sconfitte della nazionale di calcio ai rigori: in finale col brasile nel 1994, agli europei con la spagna poche settimane fa. le torri gemelle nel settembre del 2001. adesso è bastato che pronunciasse la parola "nucleare" e sbam! prima parte un reattore in slovenia, poi uno negli stati uniti e adesso da una centrale francese sbroda uranio radioattivo nei fiumi. 1994, 2001, 2008: tre date chiave per la politica italiana e per la jettatura mondiale. in finanziaria ci aggiunga un consiglio/emendamento: "con i soldi che vi faccio risparmiare togliendo l'ici compratevi un paio di enormi palle da tastare al bisogno".

sabato 12 luglio 2008

giob sörc - volume due

newsletter di infojobs. scorro le inserzioni, la mia attenzione è attratta da quella del 7 luglio:
"limbiate, perito grafico".
le mie condoglianze alla famiglia.

mercoledì 9 luglio 2008

enoteca

tornando dal lavoro ho fatto benzina. un litro costa come una bottiglia di bonarda. prima di erogare il benzinaio mi ha chiesto: "chi assaggia?"

cornuti e mazziati

tempo fa, mentre solo et pensoso traversavo i più deserti campi, sono stato inseguito da un cane. è sbucato all'improvviso dal nulla. anzi, bando ai modi di dire, è sbucato da una cascina ben precisa, altro che dal nulla. è arrivato a cento all'ora, sbavava e mi puntava la caviglia con zanne infernali. per fortuna sono riuscito a piazzare uno scatto da tour de france con la mia super bici e l'ho lasciato indietro. ma che sudata, mi ricordo ancora il cuore in gola per la strizza e la volata.
non capisco quindi come si possa scegliere, deliberatamente, di farsi inseguire dai tori per un budello di vie. ok la tradizione, blabla, la sfida, blablabla, hemingway e la fiesta di san firmin... e poi non sono nato a pamplona e non posso giudicare nè capire. però, e questo mi pare di averlo capito molto bene, ai tori vengono limate le corna prima della corsetta e poi, mezzi rincoglioniti, li infilzano pure in una gran corrida. quindi, alla fine, i mazziati sono i poveri cornuti. e il torero è un pò cornuto.

domenica 6 luglio 2008

dove vai in vacanza?

non so perché. ma questa mattina, circa quattro mesi dopo l'ultima volta, ho richiuso il divano letto. sarà che il meccanismo s'era un pò ingrippato, sarà che ero ingrippato io dal mix di ventilatori della notte, sarà che non mi ricordavo più come si faceva. fatto sta che insieme a reti e lenzuola quasi vengo ripiegato anch'io. l'incidente si è però risolto in pochi secondi: sono uscito dalla trappola integro, salvo un paio di escoriazioni alle braccia e un principio di capriola.
mentre lottavo per liberarmi dalle fauci del divano ho però rivisto come in un flash-back tutta la mia vita, e ho anche guardato avanti: mi sono immaginato a passare l'estate incastrato in un divano letto, senza il sostegno neppure dell'estathè. sarebbe stata una vacanza davvero alternativa. la prima della mia vita, credo.

sabato 28 giugno 2008

che c'hai de fresco? - bis

qualsiasi tiggì, un edizione qualunque. da quando ha smesso di piovere e ha cominciato a far caldo come in vietnam, nessun notiziario ne può fare a meno: tutti hanno il loro bel dottorone che si prodiga in consigli utili ai presunti idioti afflitti dalla calura. il professore - di solito un primario, intervistato dalla palombelli di turno - non ha dubbi: "italiani, dovete bere almeno due litri d'acqua al giorno, mangiare frutta e non uscire nelle ore più calde".
il problema è che stando in casa nelle ore più calde, gonfi d'acqua e gelato come zampogne, si finisce per guardare i telegiornali. meglio uscire, collassare dopo due bicchieri di bianco ghiacciato e l'impepata di cozze, chiudere cani e figli in macchina sotto il sole e poi finire tutti insieme al pronto soccorso dove trovi un dottore che fa il suo lavoro, al contrario dello specialista che spara cazzate in tivù.

che c'hai de fresco?

tg5, edizione delle 20. si parte con la bagarre sui magistrati e le intercettazioni telefoniche. segue il siluramento di donadoni con l'impronosticabile ritorno di marcello lippi (a proposito: pare che se, disgraziatamente, totò di natale avesse segnato il suo calcio di rigore, il quinto tiro dal dischetto l'avrebbe tirato e sbagliato marcello lippi in persona, in un ritaglio di tempo tra gli impegni di pesca in versilia). poi puntatina sulla luna di miele di briatore, sulla sparizione del polo nord (lo ritroveranno tra 25 anni insieme a emanuela orlandi) e il solito punto sul delitto di perugia.
ma la perla giornalistica se la tengono per il gran finale: cesara buonamici dallo studio lancia il servizio su una sorprendente ricerca della coldiretti. l'ufficio studi degli amici agricoltori - che magari viene "foraggiato" con soldi pubblici - avrebbe scoperto che all'arrivo del caldo sta corrispondendo un boom nel consumo di gelato. ottimo lavoro, ragazzi: troppo banale invitarvi ad andare a zappare la terra? e quel che è peggio sono le immagini che accompagnano il servizio, le stesse da cinque anni almeno: i tedeschi che si bagnano i piedi nella fontana di trevi, la fila dal gelataio dove non trovi più il gusto puffo, l'anziano (defunto da circa due anni) che si si sventola sulla panchina ai giardinetti con una copia del corriere della sera (dove si intravede un titolo su fabio grosso e un calcio di rigore, non saprei dire a che periodo si può riferire).
comunque, io al gelato preferisco sempre una birra, bélla frésca. e non sono l'unico.

amen

leggo che uno dei boss della banda della magliana, de pedis, è seppellito nella cripta di sant’apollinare, una basilica a due passi dal vaticano. a welby il vicariato di roma negò i funerali religiosi richiesti dalla famiglia. mah.
per fortuna, a farmi scambiare un segno di pace con l'istituzione d'oltre tevere mi arriva sulla mail di lavoro questo comunicato "illuminante": "cari colleghi, a seguito delle celebrazioni per l'ostensione della salma di san pio, vi segnaliamo la positiva gestione degli impianti della chiesa di padre pio da parte di x, azienda che si occupa della gestione di grandi edifici pubblici e di ottimizzazione delle risorse energetiche. la società, leader in italia nella gestione dell’energia e nel facility management per edifici pubblici, è responsabile della gestione e manutenzione degli impianti di riscaldamento, condizionamento e ventilazione, idrico sanitari, antincendio, elettrici, conservativi della struttura edile, di portierato e sicurezza della chiesa di padre pio, seconda per grandezza solo alla basilica di san pietro in vaticano". poi viene il bello: "nella sola giornata dell’esposizione del santo, l’edificio, creato da renzo piano per ospitare al suo interno ben settemila persone con un buon (!) margine di sicurezza, è stato visitato da circa quindicimila fedeli, ma sono già più di ottocentomila le prenotazioni per visitare la cripta".
traduco: i pellegrini, nonostante il margine di sicurezza fosse solo buono, non sono rimasti al buio, non si sono menati, i cessi erano tuttosommato agibili anche a fine giornata e l'aria condizionata, grazie a dio, non ha fatto scherzi. insomma, non c'è santo che tenga: è stata davvero un'esposizione coi fiocchi. venghino pure gli altri ottocentomila.

mercoledì 25 giugno 2008

giob sörc

gentile società,
mi chiamo tango, ho una consolidata esperienza nel settore editoriale dove lavoro da una decina d’anni in qualità di redattore. in particolare, mi sono occupato del lancio delle riviste a e b. collaboro inoltre con il mensile c. ricopro infine incarichi di consulenza per il centro media d.
mi caratterizzano precisione, attitudine al lavoro in team e flessibilità.
in allegato vi invio il mio curriculum vitae. consiglio, in caso di aeroplanino, l'utilizzo di carta riciclata: favorisce l'atterraggio.

augurandomi che le mie competenze possano riscontrare il vostro interesse, colgo l'occasione per porgervi i miei più cordiali saluti.
s-tango

sabato 21 giugno 2008

lingue, biciclette e tunnel ritmici

“non ci si può distrarre un attimo. il gran tapis roulant del presente ti scappa via da sotto i piedi e ti porta dove vuole lui. tocca riprendere le misure continuamente, rifare le mappe, aggiustare le enciclopedie. non se ne stanno fermi un attimo, quelli là. esempio minimo, ma neanche poi tanto: jovanotti. ero rimasto a quando era jovanotti, cioè uno che detto il nome era detto tutto, al confronto johnny dorelli è un nome d’arte da intellettuale (…)
oggi il concerto di jovanotti è un tunnel ritmico che scava sotto le settemila vite dei settemila presenti, e là sotto stampa nel buio storie dopo storie, con la scrittura magnetica e fluorescente del rap. testi e musica fanno la loro parte: il resto, che è il più, lo fa lui. un talentaccio, non c’è molto da dire. funambolico folletto che annulla il confine tra palcoscenico e gente (…)

c’è un modo di vedere le cose per cui jovanotti è qualcosa di più di un prodotto commerciale che funziona. se solo si riuscisse a far fuori per un attimo tutta quella faccenda della cultura alta e bassa, serie a e serie b, se si riuscisse a uscirne, allora resterebbe il semplice dato di fatto che ci sono delle storie da raccontare, e a decidere quali sopravviveranno è la forza del narratore che le racconta”.
alessandro baricco, barnum, 1997.

undici anni dopo, secondo me il jova è diventato ancora più forte. nel concerto che ho visto qualche giorno fa ha cantato, ballato, fatto cantare e fatto ballare, senza troppi pistolotti. una scelta perfetta, sarà che io di pistolotti ne ho piene le palle. solo musica (della madonna), pochissime parole a strumenti spenti, immagini suggestive che integrano i testi delle canzoni e un sacco di gente allegra, alla faccia del traffico e della pioggia monsonica di quei giorni milanesi.
ci sono canzoni di jovanotti che, come delle pile potentissime, illuminano uno dopo l’altro gli ultimi quindici anni della mia vita. e il concerto diventa una specie di piano-sequenza ritmico e melodico sul mio passato. ma un concerto è anche presente da sudare, mica solo ricordi: shake, testi intelligenti, altri ingenui ma disarmanti, brividi, vibrazioni, basso e batteria che mi picchiano nella pancia. che figata. fino a quando parte “a te”. eccoci, aspettavo con timore e deferenza il momento: tutto intorno esplode la limonation. devo essere capitato in una festa di compleanno delle scuole medie. anzi no, qui limona gente di tutte le età, altro che scuole medie. se non ci fosse il coro da stadio (“a te che seiiiiii, semplicemente sei…”) potrei udire il rumore delle lingue frullanti. come fanno a cantare e limonare allo stesso tempo? soprattutto, che fare? traccheggio. io sono in compagnia di due senza famiglia come me: potremmo fonderci in unico, disperato, promiscuo triangolo limonante tra noi. no, finiremmo per compromettere solidi rapporti. oppure potrei prendere per mano il tizio, solo, di fianco a me in un gran gesto di solidarietà maschile. no, finiremmo per compromettere la reputazione della solidarietà maschile. allora mi guardo intorno. c’è una tizia che piange, avrà quarant’anni passati: mi consenta, si contenga, penso tra me. poi scruto l’orologio e spero passi presto sta canzone. ma il latrato dagli spalti insiste, si perpetua, cresce (“sostanza dei giorni mieiiiii…”). aiuto. vacillo, temo di scivolare sull’enorme tappeto di salive grondanti dei limonatori. affogato nelle bave dei fan di jovanotti: che fine ingloriosa, io che sognavo di perire durante la discesa dall’everest o al massimo per infarto a un gol di cambiasso. adesso ho paura: la canzone sembra non poter terminare e l’onda anomala delle salive continua a montare (e la signora continua a piangere il suo personalissimo lutto amoroso: potrei tentare di consolarla pro domo mea, ma sarebbe come tampinare una vedova a un funerale). allora mi concentro e penso solo a come salvarmi la pelle: forse potrei fare come quel tipo che ha cavalcato col surf lo tsunami. ecco l’appiglio: quale può essere il mio surf se non la mia bellissima, gialla, performante, adorata mountain bike? ho trovato: mi concentro su di lei e gliela dedico tutta col cuore sta canzone. due ruote potenti per scivolare via veloce sulle lingue degli innamorati. mi unisco al coro, senza sbavare: “a te che mi hai insegnato i sogni e l’arte dell’avventura, a te che credi nel coraggio e anche nella paura, le forze della natura si concentrano in te, sei l’orizzonte che mi accoglie quando mi allontano, a te che sei l’unica amica che io posso avere, che riesci a render la fatica un immenso piacere”.
bella, la mia bianchi.

falla girare! –
http://www.youtube.com/watch?v=81mnnwe_tmg

colori

dopo quattro ore di scarpinatio, su e giù sotto il sole dell'appennino ligure, inframezzate da uno dei miei "mezzi bagni" (nel mare sono freddoloso, prudente, non galleggiante - parafrasando woody: un padano non anfibio), mi hanno attraversato diversi pensieri.
"meriggiare pallido e assorto presso un rovente muro d’orto", di eugenio montale, che grosso modo era di quelle parti.
i boschi del signore degli anelli, un pelo più afosi però.
i colori di matisse.

bianco e nero

“capitolo primo. adorava new york. la idolatrava smisuratamente”. ma no, è meglio: “la mitizzava smisuratamente. per lui, in qualunque stagione, questa era ancora una città che esisteva in bianco e nero, e pulsava dei grandi motivi di george gershwin”. ahhm, no, fammi ricominciare da capo. “capitolo primo. era troppo romantico riguardo a manhattan, come lo era riguardo a tutto il resto. trovava vigore nel febbrile andirivieni della folla e del traffico. per lui new york significava belle donne, tipi in gamba che apparivano rotti a qualsiasi navigazione”. no, roba stantia, troppo stantia, di un gusto…
insomma, dài, impegnati un po’ di più. “capitolo primo. adorava new york. per lui era una metafora della decadenza della cultura contemporanea. la stessa carenza di integrità individuale che porta tanta gente a cercare facili strade stava rapidamente trasformando la città dei suoi sogni in una…” non sarà troppo predicatorio? insomma, guardiamoci in faccia: io questo libro lo devo vendere. “capitolo primo. adorava new york, anche se per lui era una metafora della decadenza della cultura contemporanea. com’era difficile esistere in una società desensibilizzata dalla droga, dalla musica a tutto volume, televisione, crimine, immondizia”. troppo arrabbiato. non voglio essere arrabbiato. “capitolo primo. era duro e romantico come la città che amava. dietro i suoi occhiali dalla montatura nera, acquattata ma pronta al balzo, la potenza sessuale di una tigre”.
no, aspetta, ci sono. “new york era la sua città e lo sarebbe sempre stata”.
manhattan, woody allen, 1979

no alarms and no surprises

Anche questa volta mi sono perso il concerto dei radiohead. vaffanculo.
“un cuore riempito come una discarica di rifiuti, lividi che non guariranno, mi prenderò una vita tranquilla, niente allarmi e nessuna sorpresa, per favore (…)”
no surprises - http://www.youtube.com/watch?v=qqsyXdj_p_I&feature=related

martedì 17 giugno 2008

l'uovo

se mi guardo indietro, penso di aver bivaccato in un sacco di pantani psicologici perché sono schiavo della teoria dell'uovo. teoria che ho scoperto grazie a woody. nella scena finale di io e annie una voce fuori campo racconta: “dottore, mia moglie pensa di essere una gallina” – “me la porti qui che con un paio di sedute la guarisco” – “sì, e poi a me chi lo dà l’uovo?”. ecco, ci sono dei rapporti umani assurdi, amicizie non-sense con ex fidanzate comprese, che esistono o sono esistiti in nome dell’uovo.

non è normale

europei di calcio: l’italia “uorldcempion” si piglia tre pizze dall’olanda. nella bagarre mediatica che ne segue è facile individuare i due soliti filoni ben distinti: da una parte tivù e giornali che la mettono giù dura, e dall’altra i “grandi normalizzatori”. i primi urlano, son tutti commissari tecnici, preconizzano ripercussioni politico-istituzionali post-eliminazione. i secondi, per la maggior parte calciatori e allenatori, sono invece quelli che tutto “è normale”.
oggi mi sono alzato particolarmente incazzato col “partitodelnormale”. di fronte a qualsiasi domanda la loro risposta comincia sempre allo stesso modo: “oggi avete giocato bene” – “è normale, ci siamo allenati, siamo un grande gruppo”. “oggi avete fatto cagare” – “è normale, ci sono anche gli avversari in campo”. ch’io mi ricordi ha cominciato con sta tiritera arrigo sacchi, il “gurudelnormale”. lui e il suo gruppo di atleti “con dei valori”. ricordo epigoni quasi grotteschi tra i suoi discepoli: beppe signori, roby baggio, paolo maldini, oggi toni, delpiero e zanetti oppure vieri (che conosce tre vocaboli: è + normale + figa).

amici miei, se parliamo di calcio non c’è niente di normale: non è normale il vostro stipendio; non è normale che la gente si accoppi negli autogrill e poi mammà piangente in tele ci dica che “era un ragazzo normale”; non è normale che quando fai un gol ti togli la maglia e sotto c’hai la foto dei tuoi figli, di gesù o della madonna del presepe (cosa c’è di più intimo e privato dei tuoi figli e della tua fede?). se stai nel calcio, e il calcio ti dà da vivere (bene), per favore non dire che è normale.

chi l'ha vista


ho sempre pensato che sinead o'connor, con quegli occhi lì, avrebbe potuto dire e fare quello che voleva. e in effetti ha detto e fatto quello che voleva: si è rapata a zero, ha stracciato la foto del papa durante un concerto, ha fatto un figlio a 18 anni, è diventata cicciona, è sparita. chissà che fine ha fatto?
in questi giorni autunnali prestati alla primavera, pensavo che questa canzone, nothing compares 2 u, e questo video sono un incastro perfetto di immagini e musica: http://www.youtube.com/watch?v=zkRUs-6szsk

un fisico scolpito - da chi?

dopo aver corso per un’oretta o camminato in montagna per una giornata mi sento bene. stanco, certo, ma quasi quasi mi sembra di avere il fisico. un fisico scolpito, da uno scultore un po’ ubriaco, ma scolpito. mi servirebbe qualche muscolo in più e qualche pelo in meno, così per dirne un paio a casaccio. se rinasco voglio essere come justin timberlake ma col cervello di carlo rubbia: justin rubbia. molto meglio di carlo timberlake.

sabato 7 giugno 2008

sassi suoi

c’è un mio amico che fa un lavoro serio e complicato. uno di quei lavori che ti porti a casa la sera, che magari non ci dormi perché che ti butta nella pancia un sacco di responsabilità. lo fa un po' a modo suo, ma lo fa bene. sta male come un cane, si fa delle menate pazzesche, ma poi lo fa bene. ogni tanto dice che vuole scappare nella foresta o a fotografare le balene, ma per adesso è ancora qui.
il mio amico è uno che piace molto alle ragazze perché, dicono, “è inafferrabile”. naturalmente per l’unica, o quasi, che nella vita l’ha trattato male s’è preso una sbandata micidiale. l'unica vive lontano e lui non la vede mai. e forse proprio in quanto incarnazione di una grande assenza, l'unica è diventata una specie di ossessione: è più giovane, fa il lavoro che forse lui avrebbe voluto fare, gli ha detto cose stronze, probabilmente sta insieme a qualcun altro.
qualche tempo fa il mio amico se ne va da solo al mare e, come al solito, la pensa. in spiaggia raccoglie un sassolino e lo porta a casa per regalarglielo. vuole dirle che, pensandola, l’ha visto e l’ha raccolto. alla fine di regalarle il sassolino non c’è nemmeno l’occasione. qualche tempo dopo (forse un anno) torna al mare e rimette il sassolino esattamente nel posto dove l’ha trovato, sperando di rimettere a posto, insieme al sasso, anche qualcos’altro nella sua testa frullante.

adesso, io non lo so se frulla ancora - gli auguro di no. ma so che certi nati nel settantuno vengono dalla luna e che “moon river” è la colonna sonora giusta per questa storia: http://www.youtube.com/watch?v=SAGmqFLtSfA

mercoledì 4 giugno 2008

non mi viene la top 5...

ciao anonimo/a che hai commentato "capitan findus". non mi viene la top 5 cinematografica e son due giorni che ci penso, mannaggia a te. che domande mi fai? finirà che mentre guido mi toccherà prendere appunti ogni volta che mi tornano alla mente i film e poi, bum!, mi affaccerò sul sedile posteriore della macchina davanti (probabilmente guidata da quella che fingeva di avere un "bimbo a bordo": http://tangometiu.blogspot.com/2008/05/bimbo-bordo.html). vale lo stesso se butto lì un pò di titoli a casaccio? poi tra un quarto d'ora su qualcuno cambio idea, ne sono certo. me ne verranno in mente altri e mi pentirò di averli dimenticati. insomma, mi stai facendo soffrire.
dai, vado, così a capocchia tipo lista della spesa:
una storia vera di david lynch, gatto nero gatto bianco di emir kusturica, pulp fiction di quentin tarantino, the million dollar hotel di wim wenders, marrakech express e turnè di gabriele salvatores, quasi tutto woody allen (ma qui potrei tentare una top 5: crimini e misfatti, provaci ancora sam, manhattan, io e annie, zelig), quasi tutto stanley kubrick (con una predilizione per barry lindon, eyes wide shut e shining), sur di fernando solanas, terra e libertà di ken loach, alì di michael mann, l'infernale quinlan di orson welles, l'inquilino del terzo piano di roman polansky e tutti i lungometraggi di lupin.
più di recente mi sono piaciuti tanto in to the wild di sean penn, il labirinto del fauno di guillermo del toro, about a boy dei fratelli weitz, le vite degli altri di florian henckel e tutta la trilogia del signore degli anelli di peter jackson.
un gradino sotto metto camera con vista di james ivory, il sesto senso di shyamalan (come zacco se chiama de nome?), il postino di massimo troisi, il toro di carlo mazzacurati, la sconosciuta di giuseppe tornatore, the others di amenabar (come zacco se richiama de nome?).
ultimamente vado poco al cinema, ma il film più brutto che ho visto quest'anno è decisamente colpo d'occhio di sergio rubini: pretenzioso, è la frittata alla pugliese di match point di woody allen, recitato da due pali della luce (scamarcio e la puccini). adesso vorrei vedere il vento fa il suo giro di giorgio diritti - so che a naso mi piacerà. e poi l'importante è starsene ben lontani da qualsiasi film in cui compare nicolas vaporidis o qualcuno della generazione mocciamuccino. non trovi?
e, visto che m'hai provocato, beccate anche il mio tema preferito da una colonna sonora: è the lonely shepherd di gheorghe zamfir, tratto da kill bill volume uno, non ci sono parole per spiegare quanto è bella quella scena con la neve...

http://www.youtube.com/watch?v=dafyQJdPPXo&feature=related
però adesso tocca a te, a voi, mi postate qualche lista della spesa cinematografica?

venerdì 30 maggio 2008

capitan findus

in cucina faccio progressi. e poi questa sera non voglio perdermi le televendite in tv: con lo schermo piatto, mastrota e le signorine che mettono le creme anticellulite sono grandiosi. quindi decido di mangiare a casa. declino l'invito dei miei, tiro un lungo respiro, trattengo il fiato e apro il freezer: tra i ghiacci eterni scorgo una forma di vita ancora commestibile. è un sofficino mozzarella, pomodoro e prosciutto. in un attimo di lucidità ricordo di avere in dote anche una pentola antiaderente. niente burro né olio, solo un pò d'acqua e ci provo. cinque minuti più tardi ottengo un risultato che meriterebbe uno studio del cnr: un lato del sofficino è completamente nero ed emana un odore acre, simile a quello di un termovalorizzatore. l'altro è l'iceberg che affondò di caprio e la maledetta canzone di celine dion. e sono certo di averlo girato con regolarità. non mi perdo d'animo e mi dico: tutta colpa della piastra elettrica o del capitano findus.
soprattutto, ho fame: mi trascino per alcuni centimetri dal tavolo verso il frigo, sfiorando gli spigoli del divano letto aperto (che non chiudo dall'epifania, troppa fatica). agguanto un salamino e tento di affettarlo: il coltello taglia male, le fette escono di dimensioni e forme bizzarre e mi viene da ridere pensando alle spade di hattori hanzo (questa settimana in tele hanno dato kill bill volume due).
non mi resta che l'insalata in offerta della standa, scaduta naturalmente.
alla fine mangio tutto: il sofficino dal lato fumé (dopo aver grattato via il peggio con il coltello di hattori), cinque artistiche fette di salame e un'ottima insalata verde lievemente alterata.
se supero la notte domani vado a farmi gli esami del sangue e due spaghi dalla mamma.

giovedì 29 maggio 2008

pensieri alla moda

sono quasi convinto che le dimensioni del cervello di una ragazza siano proporzionali alle dimensioni della sua borsa.
questo è il pensiero più profondo che ho avuto questa settimana (meno male che non ho una borsa: oggi sarebbe di quelle adidas, cm 3x3). che poi, ripensando ai recenti cambiamenti e parafrasando una canzone, è "la prima settimana del tempo che mi resta".

lunedì 26 maggio 2008

qui, quo, qua


come se non bastassero le mie ultime vicissitudini lavorative, il pranzo della domenica intitolato al compleanno di mammà mi porta in dote alcune nuove certezze: una nipotina lavora per il milan e, al novantesimo sms, ha confessato anche di far parte della tim-tribù. un nipotino, invece, si è presentato ostentando una cintura dolce e gabbana insieme a una sorta di fidanzatina dodicenne, non ricordo in quale ordine. colpi bassi, colpi sotto la cintura (dell'upim, la mia, o al massimo della rinascente). capisco le mie sorelle che seguono csi per imparare a occultare le prove di un delitto.

domenica 25 maggio 2008

forza di gravità

continua a piovere, e la bassa pressione ci ammorba. i pochi contatti col mondo che ho avuto oggi, solo grazie all'informatica e alle telecomunicazioni, sono con gente che come me non riesce a sollevarsi dal divano.
continua a piovere. è un'altra odiosa domenica di pioggia subita in un mese da bici e primi pantaloni corti. non è che mi senta stanco, è solo che certi giorni la forza di gravità aumenta e mi impedisce. non so cosa, ma mi impedisce.
continua a piovere. e, come dice woody, oggi sono senza riflessi: potrei anche essere investito da un auto in folle spinta da un tizio che ha bucato.
continua a piovere. e magari fosse il diluvio del principe. dopo la sua schitarrata, vengano pure giù secchiate color viola (ma su youtube "purple rain" non c'è più. sigh)

giovedì 22 maggio 2008

un'altra cosa che ho perso

di recente ho lasciato in giro due ombrelli, una fetta di autostima, un libro e ho cancellato qualche numero di telefono e qualche sms. saranno su un treno, in un bar, nell'etere, a casa di qualcun altro, in una parte di me che non c'è più o forse si è solo nascosta. tutte cose che ho perso, più o meno coscientemente.
coscientemente, ieri ho perso un lavoro che facevo da sei anni. non potevo continuare, non c'erano più le condizioni professionali minime. riparto da un'altra collaborazione, forse è meglio così. ma domani vado a sbaraccare l'ufficio e so che non sarà facile. in quelle cinque stanze ho fatto di tutto: ho lavorato sodo, ho eseguito ordini e poi, piano piano, ho dovuto cominciare a darli, sempre chiedendo per favore e dicendo grazie. ho compiuto tutti gli anni che vanno dai 31 ai 37. mi sono guardato allo specchio dopo la pipì con la faccia incazzata, stanca, serena, abbronzata, verde, perplessa, con la barba di una settimana e altre volte non mi sono nemmeno visto tanto ero di fretta. ho preso quelle telefonate che ti fanno sudare. ho trovato degli amici, qualcuno poi se ne è andato per lo stesso motivo per cui adesso me ne vado io e, forse, in un certo modo l'ho tradito rimanendo lì. ho stampato mille pagine che forse potevo non stampare, poveri alberi. ho cazzeggiato con gli amici del forum. mi sono sentito realizzato. e ho realizzato il sogno del mio ex capo: fare un giornale da solo. lui blatera ma non l'ha mai fatto, io sì. non ho mai urlato con nessuno, anche se a volte avrei dovuto farlo. nessuno ha mai urlato con me. ho imparato un mucchio di cose, compresa qualche parola di olandese e l'importanza della statistica. ho bevuto mille caffè bucastomaco della macchinetta. ho avuto la certezza che le lauree si possono davvero comprare. ho visto allargarsi una scollatura prima della riunione col capo. mi sono impigrito guardando la scuola fuori dalla finestra. ho visto un amico che andava a fare un'intervista in bermuda da spiaggia a un professore universitario. ho pagato di tasca mia il clandestino che fa le pulizie quando non c'erano i soldi, nonostante mi avesse confessato che adorava berlusconi. mi sono innamorato e l'ho baciata nel corridoio. una volta ho dormito. un'altra ho lavorato con la febbre alta. dopo un pranzo a una conferenza ho lavorato quasi da ubriaco. penso anche di aver insegnato qualcosa, che la competizione non serve a niente, serve solo avere un obiettivo comune e arrivarci. mi sono preso la colpa delle cose che ho sbagliato e ho cercato di dividere i meriti di quelle fatte bene. ho parlato al telefono con furio honsell, un paio di ministri e montezemolo. ho visto le partite dei mondiali di calcio, quelli di materazzi.
c'ho messo impegno. ultimamente forse anche il culo e qualcuno ci si è infilato.

le mie pigioni

una volta andavi allo sportello. facevi la fila, ti trattavano male, t'incazzavi. ma di solito tornavi a casa con un contratto firmato e il giorno dopo potevi accendere la luce in casa. adesso per chiedere l'allaccio all'enel devi utilizzare i potenti mezzi informatici: mandi un fax di sei pagine e, nel giro di cinque giorni, fantomatici tecnici si palesano nelle segrete del tuo palazzo per attivare il contatore. a meno che... alla quinta pagina del fax si interrompa la trasmissione. nessuna paura: ricomponi il numero, prendi la linea e mandi la sesta pagina. è fatta, pensi. fiat lux. no, non proprio: dopo sei giorni di latitanza un potente call center ti informa che la sesta pagina del fax è finita sulla scrivania di un altro consulente, seduto davanti a quello che tiene in ostaggio le prime cinque. i due non si parlano, forse si odiano, di certo parlano lingue diverse, uno tifa inter l'altro milan, il primo è maomettano il secondo è reduce dalla missione desert storm. e magari non lavorano nemmeno per la stessa azienda. così il tetris della pagina mancante non s'ha da fare. devi rifaxare tutto. poi, forse, potrai cominciare serenamente a pagare la bolletta.
se non t'arriva l'affitto, invece, provi a chiamare l'amministratore: "mi scusi, sono tango, appartamento numero quattro". "prego, mi dica". "secondo i miei calcoli astrali dovevo pagare l'affitto la scorsa settimana ma non ho ancora trovato il mav nella casella della posta". "impossibile". "ecco, magari l'ha preso qualcuno per sbaglio o..." "no, guardi. noi li abbiamo imbucati giusti". "non discuto, ma se l'avessi trovato avrei già pagato. se preferisce salto il turno, non è un problema". "provo a informarmi". ecco, bravo, prova a informarti.

digerisco tutto

un’amica mi copia il cd dei casino royale. nello scambio di mail che ne segue ci scappa il commento su sanremo 2008: “è un piacere sharizzare musica decente – mi scrive – e non la cacca che ottenebra la mente della maggior parte degli italiani. esempio lampante… sanremo. come al solito hanno vinto dei poveretti”. già, nemmeno mi ricordo come si chiamano. e lei neppure. saranno i nuovi jalisse, non serve giucas casella per indovinarlo.
ha ragione, ma devo dire che non mi sorprende più niente. sono in una fase in cui, a furia di non digerire, digerisco tutto. vedo in giro bestialità di ogni tipo – non sto parlando solo dell’italia di gigi&eros featuring buonadomenica – ma ho davvero poca benzina per provare a incazzarmi.
vabè, questa è bella tamarra ma s’ascolta volentieri:
http://vids.myspace.com/index.cfm?fuseaction=vids.individual&VideoID=10792445

il muro del pianto e la stazione

commentando il "muro del pianto" che sta diventando questo blog, un amico mi dice che sembro essermi dimenticato che nella vita passano altri treni, un sacco di treni. è che io in questo periodo non vado nemmeno in stazione.

cat


pensare che eri una gattina. adesso pari quasi un castoro.chi de pappa abbonda de panza sfonda, cara mia

non ho più voglia

la famiglia ti vuole bene per forza. è quasi sempre così. in condizioni normali, è un tesoro che ti ritrovi quando nasci e non c’è molto altro da conquistare o dimostrare. quelli all’interno della famiglia sono sentimenti “semplici”. insomma, ci si vuole bene quasi per definizione e, quasi per definizione, quando serve ci si aiuta. si discute, si litiga, si accettano compromessi, certo, ma alla fine le radici sono lì.
tutti i sentimenti che stanno fuori dalla famiglia, invece, te li devi in un certo senso conquistare. è per questo che i fallimenti sentimentali mi pesano tanto. là, fuori dalla cerchia, te la giochi da solo. fuori dalla cerchia non parti in vantaggio due a zero. non ci sono sentimenti “prestabiliti” dalla nascita. così, il fatto di non aver saputo “concretizzare” una lunga relazione e non aver capito un tubo di quelle corte, il fatto di non saper flirtare e di sbattere la testa sempre contro gli stessi spigoli relazionali, stanno cementificando nella mia testa un muro. “se pensi sempre a un muro, un muro troverai”, dice una canzone. è vero, ma in questo periodo non ho il martello per buttarlo giù quel cazzo di muro. meglio: i martelli che ho utilizzato in passato per buttare giù muri simili a questo non funzionano più. c’ho provato e ci provo, naturalmente: mi ammazzo di trekking in posti incantevoli, chiamo persone che non sento da tempo e partecipo a serate che in altre condizioni mi vedrebbero protagonista solo sotto minaccia di un fucile, macino chilometri di corsa a ritmo di musica che mi emoziona, leggo più libri del solito, guardo film, tengo le tapparelle di casa e dell’ufficio ben alzate per sfuggire all’ombra del muro, prendo il sole appena posso come le tartarughe. ma il muro è sempre lì, ben piantato nella mia testa. e non so nemmeno se dall’altra parte c’è berlino est o berlino ovest. so solo che c’è il muro e che i cari, vecchi antidoti non funzionano più.
quindi? ho solidissime radici famigliari alle spalle ma, molto probabilmente, non sarò in grado di piantarne altre, altrettanto solide, da qualche altra parte della mia vita. questa cosa non mi fa assolutamente paura, non so nemmeno se stava tra i miei “obiettivi”. io sono flessibile a priori: non mi immagino, a priori, a mettere radici, ma se sto bene con una persona posso anche immaginare di metterci radici. ma la grossa novità che mi porta in regalo il compleanno 2008 è che non ho più voglia di avere una storia. non solo di tentarci ma addirittura di pensarci. fuori dalla "cerchia" ho perso troppa energia e sentimento. e non ho più voglia di ricominciare ancora daccapo: ti va un aperitivo?, chissà se sto bene con questa camicia, forse dovrei farmi la barba, che bella mostra, chissà perché mi ha mandato quell’sms, andiamo a cena oppure solo a bere qualcosa, forse mi puzza un’ascella, adoro il cinema president e tu? il sabato sera, magari un bacio, la chiamo o non la chiamo, s’aspetta che la chiamo, sono prevedibile, non chiedere se puoi baciarla, baciala e basta, farsi beccare che le guardi le tette mentre parla del suo lavoro, spero che stia simpatica al mio amico, madonna come sta bene vestita così, tornerei a istanbul, è tenera perché si mangia le unghie, le tovaglie a quadretti in trattoria, ordina prima tu, preferisco ascoltare, il concerto più bello che ho visto è quello di prince, ho voglia di fare una passeggiata, il gelato al cioccolato, il peggiore di tutti è bossi, se non le piace la montagna e la fotografia non fa per me, i colori di matisse, i tavolini all'aperto, non mi stai annoiando anzi, sono in ritardo, preferisco il vino rosso, poi è più in ritardo sempre lei, mia sorella è buddista, penserà che sono strambo, ma bevo la coca cola, mi piace woody allen e andare in bici in spiaggia, i gatti una volta mi stavano sull'anima e adesso li adoro.
vaffanculo tutta sta roba. non ne ho più voglia. punto. non ho paura di correre il rischio di non sentire più niente. tutte le volte che ho rischiato ne ho ricavato qualche bel momento, certe volte il momento è durato anni, ma poi macigni terribili da digerire senza nemmeno l'aiuto della citrosodina. non voglio sentire, e basta. voglio diventare un grande apatico. adesso il sabato sera vado a mangiare dai miei, da qualche mia sorella o esco con qualche amico solido. lì parto in vantaggio, anche se sbaglio maglietta o sbadiglio come un cane tutta la sera, sicuramente non mi mollano per strada da solo al primo chiaro di luna.