sabato 21 giugno 2008

lingue, biciclette e tunnel ritmici

“non ci si può distrarre un attimo. il gran tapis roulant del presente ti scappa via da sotto i piedi e ti porta dove vuole lui. tocca riprendere le misure continuamente, rifare le mappe, aggiustare le enciclopedie. non se ne stanno fermi un attimo, quelli là. esempio minimo, ma neanche poi tanto: jovanotti. ero rimasto a quando era jovanotti, cioè uno che detto il nome era detto tutto, al confronto johnny dorelli è un nome d’arte da intellettuale (…)
oggi il concerto di jovanotti è un tunnel ritmico che scava sotto le settemila vite dei settemila presenti, e là sotto stampa nel buio storie dopo storie, con la scrittura magnetica e fluorescente del rap. testi e musica fanno la loro parte: il resto, che è il più, lo fa lui. un talentaccio, non c’è molto da dire. funambolico folletto che annulla il confine tra palcoscenico e gente (…)

c’è un modo di vedere le cose per cui jovanotti è qualcosa di più di un prodotto commerciale che funziona. se solo si riuscisse a far fuori per un attimo tutta quella faccenda della cultura alta e bassa, serie a e serie b, se si riuscisse a uscirne, allora resterebbe il semplice dato di fatto che ci sono delle storie da raccontare, e a decidere quali sopravviveranno è la forza del narratore che le racconta”.
alessandro baricco, barnum, 1997.

undici anni dopo, secondo me il jova è diventato ancora più forte. nel concerto che ho visto qualche giorno fa ha cantato, ballato, fatto cantare e fatto ballare, senza troppi pistolotti. una scelta perfetta, sarà che io di pistolotti ne ho piene le palle. solo musica (della madonna), pochissime parole a strumenti spenti, immagini suggestive che integrano i testi delle canzoni e un sacco di gente allegra, alla faccia del traffico e della pioggia monsonica di quei giorni milanesi.
ci sono canzoni di jovanotti che, come delle pile potentissime, illuminano uno dopo l’altro gli ultimi quindici anni della mia vita. e il concerto diventa una specie di piano-sequenza ritmico e melodico sul mio passato. ma un concerto è anche presente da sudare, mica solo ricordi: shake, testi intelligenti, altri ingenui ma disarmanti, brividi, vibrazioni, basso e batteria che mi picchiano nella pancia. che figata. fino a quando parte “a te”. eccoci, aspettavo con timore e deferenza il momento: tutto intorno esplode la limonation. devo essere capitato in una festa di compleanno delle scuole medie. anzi no, qui limona gente di tutte le età, altro che scuole medie. se non ci fosse il coro da stadio (“a te che seiiiiii, semplicemente sei…”) potrei udire il rumore delle lingue frullanti. come fanno a cantare e limonare allo stesso tempo? soprattutto, che fare? traccheggio. io sono in compagnia di due senza famiglia come me: potremmo fonderci in unico, disperato, promiscuo triangolo limonante tra noi. no, finiremmo per compromettere solidi rapporti. oppure potrei prendere per mano il tizio, solo, di fianco a me in un gran gesto di solidarietà maschile. no, finiremmo per compromettere la reputazione della solidarietà maschile. allora mi guardo intorno. c’è una tizia che piange, avrà quarant’anni passati: mi consenta, si contenga, penso tra me. poi scruto l’orologio e spero passi presto sta canzone. ma il latrato dagli spalti insiste, si perpetua, cresce (“sostanza dei giorni mieiiiii…”). aiuto. vacillo, temo di scivolare sull’enorme tappeto di salive grondanti dei limonatori. affogato nelle bave dei fan di jovanotti: che fine ingloriosa, io che sognavo di perire durante la discesa dall’everest o al massimo per infarto a un gol di cambiasso. adesso ho paura: la canzone sembra non poter terminare e l’onda anomala delle salive continua a montare (e la signora continua a piangere il suo personalissimo lutto amoroso: potrei tentare di consolarla pro domo mea, ma sarebbe come tampinare una vedova a un funerale). allora mi concentro e penso solo a come salvarmi la pelle: forse potrei fare come quel tipo che ha cavalcato col surf lo tsunami. ecco l’appiglio: quale può essere il mio surf se non la mia bellissima, gialla, performante, adorata mountain bike? ho trovato: mi concentro su di lei e gliela dedico tutta col cuore sta canzone. due ruote potenti per scivolare via veloce sulle lingue degli innamorati. mi unisco al coro, senza sbavare: “a te che mi hai insegnato i sogni e l’arte dell’avventura, a te che credi nel coraggio e anche nella paura, le forze della natura si concentrano in te, sei l’orizzonte che mi accoglie quando mi allontano, a te che sei l’unica amica che io posso avere, che riesci a render la fatica un immenso piacere”.
bella, la mia bianchi.

falla girare! –
http://www.youtube.com/watch?v=81mnnwe_tmg

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Sara', io pero' un giro di lingua alle 2 senza famiglia l'avrei dato comunque

Pi

Anonimo ha detto...

caro pi, porti sempre una ventata di concrettezza che non posso non apprezzare
-m