venerdì 29 agosto 2008

una storia di campagna

sono stato a vedere la mostra di ligabue con due amici: intothewild e il collega b. in questi giorni mi sono passati davanti alcuni flash di quei quadri così colorati, inquietanti e ingenui ma, per me, bellissimi. nella mia estate basata sulla ricerca massima di semplicità (microtenda, zaino, rapporti umani quasi azzerati, la riflessione su quanto può essere buono un pezzo di formaggio in un rifugio e quanto sprint ti può dare una fetta di limone in salita) quella rappresentazione della vita di campagna, anche se molto ripetitiva, mi è piaciuta. volevo scrivere qualcosa sulla mostra. ma, sempre per amor di semplicità, ho trovato più semplice incollare qui sotto la recensione che b ha scritto per il giornale per cui lavora. la condivido, è perfetta, ed è così semplice non aggiungere altro. col permesso dell'autore.

"voglia di tenerezza. e consapevolezza, quasi ostinata, di non poterla avere, né in vita né in arte. ho visitato la mostra di antonio ligabue, a milano, e ho pensato a salgari – con tutte quelle tigri dipinte – ai cartoni animati, alle fiabe orientali, al caminetto di casa. tra animali, castelli, scene di caccia e colori chiassosi ho pensato del pittore senza regole, vagabondo e segnato dalla follia, a un bimbo che sogna e che chiede al disegno di realizzarne i desideri. e poi ho guardato negli occhi i soggetti dipinti, quasi mai umani: "la lepre", il "cane setter in ferma", i signori de "ritorno dai campi con castello" mirano lontano dal centro abitato, le spalle opposte agli uomini, il destino affidato a un sentiero, la sconfitta in una ragnatela ("interno con ragnatela"). infine, ho visto un'incredibile passerella di autoritratti, tutti con gli occhi mesti, a un angolo, da umile contadino che parla agli umili. che ha voglia di tenerezza. e che sa che nessuno gliela può dare".

sogno di una notte di fine estate

l’altra notte ho sognato una ragazza che non vedo da un bel po’. mi è venuta incontro e mi ha abbracciato con grande partecipazione. mentre lo faceva, ho sentito nitidamente le sue belle forme puntate addosso e ho pensato: “questo non è un abbraccio da amica”. ma subito dopo ha attaccato a parlarmi, con ingenuo entusiasmo, del suo fidanzato. mi sono svegliato subito, sudato come un’anguilla: a giudicare dalla luce era più o meno l’alba di un’altra giornata più o meno del cazzo. ho cercato di riaddormentarmi ma non ce l’ho fatta. mentre mi facevo la doccia, alle sei del mattino, ho pensato che lo sceneggiatore di un sogno così carota e così bastone, così nutella e così merda, s’è fatto influenzare da questo blog che è un po’ vero e un po’ per finta, un po’ speranza e un po’ realtà, un po’ tentativo di conquista e un po’ racconto di sconfitta.
finita la doccia, davanti allo specchio mi sono scrutato per bene. ed è stato come m’immaginavo: ho visto ancora parecchio sangue uscire da quel taglio che, mentendo a me stesso, spacciavo per una cicatrice.

oh my bod(y)!

oggi ho corso dieci chilometri in poco più di un’ora. mica male se considero la mia età quasi da divano, un morale alterno da canzone di jovanotti ma cantata da mia martini e una leggera pancetta da fine estate. domenica faccio una garuncola di corsa amatoriale insieme a un amico: pensavo di presentarmi al via con un body alla federica pellegrini per tagliare l’aria e i cinque cerchi olimpici tatuati sulla schiena. senza dimenticare la colazione: una tazza di latte caldo con l’epo.

segni della fine del mondo

c’è un mio amico che si è sempre vantato di cagare più della marcuzzi. e senza l’ausilio di activia, dosi di bifidus, imbarazzanti perette, bicchieri d’acqua calda al mattino presto, prugne secche e preghiere ai santi intercessori del colon. per lui il cereale è storicamente un’inutile escrescenza vegetale e la dolce euchessina una cosa per femminucce stitiche e nervosette. regolarissimo anche lontano da casa, il ragazzo ha pure fatto qualche volta lo sborone con i tappati di turno: anch’io anni fa in marocco ebbi una lunga interruzione che si sbloccò solo con uno tsunami malato causato dall’aver bevuto acqua dalla doccia. la bevvi, in assenza di altri liquidi, in una notte di terribile sete e afa con l’aria condizionata in albergo rotta. non ricordo se fu peggio la pigrizia interiore o la generosità febbricitante che seguì. ricordo bene, invece, la serenità intestinale ostentata dall’amico, che chiamerò activia, in quei miei giorni di quiete e successiva tempesta.
ieri sera, però, activia mi messaggia da una trattoria del portogallo: “ho ordinato due minestre – scrive – mi servono per andare in bagno”. un altro segno della fine del mondo che si avvicina, dopo lo scioglimento dei ghiacciai e i plurimi scudetti dell’inter.

lunedì 4 agosto 2008

la mia canzone preferita, almeno per oggi

if you see her, say hello, she might be in tangier
she left here last early spring, is livin’ there, i hear say for me that i’m all right though things get kind of slow
she might think that i’ve forgotten her, don’t tell her it isn’t so
we had a falling-out, like lovers often will
and to think of how she left that night, it still brings me a chill
and though our separation, it pierced me to the heart
she still lives inside of me, we’ve never been apart
if you get close to her, kiss her once for me
i always have respected her for busting out and getting’ free
oh, whatever makes her happy, i won’t stand in the way
though the bitter taste still lingers on from the night i tried to make her stay
i see a lot of people as i make the rounds
and i hear her name here and there as i go from town to town
and i’ve never gotten used to it, i’ve just learned to turn it off
either i’m too sensitive or else i’m getting’ soft
sundown, yellow moon, i replay the past
i know every scene by heart, they all went by so fast
if she’s passin’ back this way, i’m not that hard to find
tell her she can look me up if she’s got the time
bob dylan, "if you see her, say hello"