giovedì 27 novembre 2008

fornelli disperati – dalla simmenthal a vissani

posta in arrivo: c’è una nuova mail. l’oggetto è: “seduzione a tavola. le francesi seducono con lo champagne, le spagnole col pepe verde, le tedesche col dessert. le italiane? prendono il partner per la gola con le ricette della tradizione”. è il risultato di una ricerca appena pubblicata. bene. e pensare – penso – che io vengo via con una simmenthal. e per due sofficini cotti al punto giusto – ripenso – potrei anche prendere in considerazione uno scambio di fedi.
poi, sarà una congiunzione astrale, sarà il caso, sarà un disegno divino. sarà. fatto sta che proprio in questi giorni in cui ho deciso di svoltare e diventare uno chef semi-professionista (personal trainer, lettura di riviste specializzate, sedute auto-motivazionali di rinuncia davanti allo scaffale piatti pronti del supermercato, venti flessioni punitive ogni volta che sbaglio a dosare il sale e, quando scuocio gli spaghetti, cinque giri di corsa dell’isolato coperto dal solo scolapasta), proprio in questi giorni, dicevo, non mi capita di dover intervistare gianfranco vissani? chessefapecampà. tecnicamente è stato come far comunicare il campione mondiale di sci di fondo con un indigeno delle isole salomone (in questo caso io sarei quello sulla spiaggia con i fiori al collo, un freesbee inserito nel labbro inferiore e il gonnellino di paglia). però, tutto sommato, penso di essermela cavata. anzi, ho anche estorto al maestro una ricetta semplice semplice per una serata carina (e non è a base di simmenthal).

(ri)forme

mi è cascato un occhio distratto su una notizia dal titolo “nude per la gelmini”. leggo: sembra che dodici studentesse emiliane, dai 19 ai 33 anni, si siano spogliate e fatte fotografare in un calendario per sostenere la riforma della scuola del ministro mariastella gelmini. “i nostri nudi sono contro un vecchio modo di gestire le università e contro le proteste di piazza”, chiariscono le fanciulle, tutte universitarie più o meno in corso. il risultato della protesta starebbe nel calendario “sexpolitik 2009”. a questo punto, siccome sono camionista nell’animo, attendo ansioso nuove riforme.

giovedì 20 novembre 2008

fornelli disperati - la tisana

nella vita bisogna rimangiarsi molte cose. succede. ma mai, davvero mai, avrei pensato di dovermi rimangiare anni di battaglie contro le tisane: le ho sempre ritenute inutili come un ventilatore a gennaio e invitanti come un piatto sporco nel lavandino. e poi assolutamente poco marketing: se racconti in giro che bevi la tisana devi subito compensare chiarendo che fai il pugile, sei abbonato a playboy e ti lavi i denti con la grappa. mica che…
insomma, nel mio immaginario le tisane sono da sempre infusi inutili: infutili, per essere sintetici. eppure.
eppure da qualche sera prendo la tisana: ho raccolto un suggerimento contro la pancia gonfia e l’ho fatto mio. d’altronde viaggio da una settimana con un tamburo sciamanico che spinge sulla cintura: una novità assoluta, che osservo dall’alto con curiosità e orrore. è lo stress, dicono. sarà. fatto sta che ho provato prima col carbone vegetale, sposando la causa verde delle energie rinnovabili: sono andato a eolico per un giorno, ma la biomassa è rimasta nel mio corpo. poi la persy, un’amica spacciatrice di semi di finocchio, mi ha aperto un mondo nuovo: la tisana al finocchio, appunto. però, credo per punizione divina (gli dei della tisana sono numerosi e potenti, ce n’è uno per ogni infuso: dalla rosa canina che non abbaia fino alla noce di rabarbaro etrusco), il teatrino della preparazione dell’infutile è stato da mettere su youtube. innanzitutto ho mandato a temperatura di fusione nucleare l’acqua. quindi, messo in preallarme il centro grandi ustionati di niguarda, ho versato il liquido ormai in fiamme nella tazza dove avevo preventivamente scucchiaiato un po’ di finocchio. il tutto si è svolto in un clima sereno e di grande fiducia. in diretta telefonica mi assisteva l’amica elle che, con la pazienza di madre teresa di calcutta, mi ha incitato e guidato nell’operazione. quindi ho mescolato e lasciato riposare qualche minuto l’infutile. e solo a quel punto mi sono reso conto di non aver mai posseduto un colino, forse perché non lo vendono nel reparto piatti pronti del supermercato. ma fermarmi sarebbe stato da codardo e ho deciso di sorbire comunque l’infutile: ho incollato le labbra al bordo della tazza, tipo ventosa, utilizzandole come diga per i semi e, con rapidissimi rilasci, ho lasciato passare la brodaglia di verdura. che ora, in compagnia di qualche seme garibaldino, è alla caccia dei gas che mi tormentano.

domenica 16 novembre 2008

qualcosa di più

dicono che da macondo non si va via. eppure qualche anno fa me n’ero andato. ma poi, siccome da macondo, in fondo, non si va via, quattro mesi fa ci son tornato. ora, in un qualsiasi giorno di novembre, ho trovato la forza per andarmene di nuovo. per andare a star meglio, dicono. ma senza essere giocondo. perché macondo, in fondo, ti frega. mi frega. c’ha sempre fregato. perché macondo, tante volte, non si è spento alle 19:00 insieme al mio computer. a macondo ci sono gli amici, i pittori da intervistare e i grandi discorsi sul futuro. ma il futuro non arriva mai.
devo dire grazie al mio amico b che si è inventato la definizione di macondo per quell’ufficio dove lo lascio e che abbiamo condiviso per un po’. spero che se ne vada anche lui prima che arrivi il biblico vento che, come nel libro di garcia marquez, spazzerà via macondo.
per una volta ho giocato d’anticipo nel lavoro come quando giocavo a calcetto. e, a ripensarci, con i pantaloni corti anticipavo bene. vediamo se mi riesce anche con quelli lunghi. in fondo sto solo cercando qualcosa “di più”, come dice questa bella canzone:
http://www.youtube.com/watch?v=x-_31kdQFWs&feature=related

sabato 15 novembre 2008

la cattiva reputazione

"nel villaggio senza pretese, avevo una cattiva reputazione (...)"
george brassens, "la mauvaise reputation"

martedì 11 novembre 2008

quando serviva

mia nonna è morta nel 1999 a cento anni suonati. suonati da pochi giorni, per la verità: giusto il tempo di festeggiarla e se ne è andata. qualche parente vive da allora nel dubbio di aver esagerato con l’affetto durante le celebrazioni del secolo di vita. in effetti la nonna dovette affrontare, nell’ordine, una breve cerimonia sul pianerottolo di casa, acclamata dai condomini di mezza vita; una cena con i parenti stretti e, due giorni dopo, un mega party stile carramba-che-sorpresa con gente che non vedeva da quarant’anni, compresi alcuni sfollati che aveva ospitato a casa durante la guerra. per fortuna vennero evitati collegamenti con “la vita in diretta”, ma non i cori alpini.
ieri ho visto un film, “big fish”, che me l’ha ricordata. anche lei, seppur in misura molto minore rispetto al protagonista di tim burton, amava ogni tanto condire le storie per accalappiare l’attenzione dei nipotini. e lo faceva con un grandioso mix di realtà e finzione, di cui mi sono rimasti solo dei momenti: la sorella incenerita da un fulmine sulla panchina di fronte a casa, il cugino ubriacone che, tornando in cascina la notte, vide il diavolo sotto forma di caprone, un paio di ebrei nascosti in soffitta durante i rastrellamenti del 1944, le notti gelate passate nei fossi durante i bombardamenti, l’incredibile appetito di una tal “rosa burlon” che per la stazza elefantiaca non passava dalle porte, l’incomprensibile inquilino del piano di sopra a cui sarebbe mancata gran parte della lingua, il gatto sparito per tre anni e poi tornato a casa senza una zampa. una galleria di drammi, facezie e personaggi freak da scriverci una sceneggiatura. o anche solo da ricordare di tanto in tanto. fossi stato meno scemo e avessi preso appunti, quando serviva.

giovedì 6 novembre 2008

fornelli disperati (in collaborazione con l’anto-lì)

una lettrice consolidata di questo luogo di traccheggio digitale, fidanzata di un mio carissimo amico, mi ha dato involontariamente una grande idea: una rubrica periodica di cucina per casalinghi disperati. cucina semplice e accessibile, naturalmente. cucina commisurata alle capacità di quei disabili sentimentali e culinari che sopravvivono forzando scatolette di tonno ai piselli, ciucciando surgelati e incendiando toast. gli stessi che, nelle serate buone, sfruttano gli inviti degli amici che hanno la morosa che cucina bene. o che elemosinano un piatto caldo da amiche altrettanto disperate le quali, gettata alle ortiche ogni velleità di serata mondana, mettono in pratica gli eterni insegnamenti di nonna papera per l’affamato di turno. pensavo di chiamarla “la rubrica dell’anto-lì”, perché la mia amica-lì ha un debole per “mezzogiorno di cuoco”. però mi piace anche “fornelli disperati”. si accettano suggerimenti.
cominciamo con l’arrosto al limone, che l’anto-lì lo fa da dio.
“ingredienti: arrosto di vitello, 1 limone, pane grattuggiato, formaggio grana, olio, sale. fare rosolare la carne nell’olio, quando risulterà ben dorato da tutti i lati, ricoprirlo per 3/4 circa di acqua calda alla quale vanno aggiunte 2-3 fettine di scorza di limone (mi raccomando solo la parte gialla della buccia e non quella bianca!). salare. lasciare cucinare la carne a fuoco medio- basso e ogni tanto girarlo. a cottura quasi ultimata (nella pentola è rimasto circa mezzo bicchiere di fondo di cottura o qualcosa in più), levare la carne e aggiungere in parti uguali pane e formaggio grattugiati (circa 5 cucchiai di ciascuno), mescolare bene fino a ottenere una crema omogenea. affettare la carne e rimetterla nella pentola con la crema al limone”. e grazie all’anto-lì.
volendo, accompagnare con abbondante barbaresco per festeggiare i freschi s-barack-amenti alla casa bianca. se ce l'ha fatta lui, nulla è impossibile, persino che io faccia l’arrosto. e allora via, in tavola.
yes, i can.

mercoledì 5 novembre 2008

l'ottimista malinconico

“c’è un nuovo gatto sulla scrivania di athos faccincani. avrà un mese. è arrivato qui da pochi giorni, salvato per il rotto della cuffia: «era denutrito, mezzo morto. ora sta bene», ci racconta il maestro. fuori in giardino suo figlio sta preparando il cavallo per il concorso ippico. «gli ha passato la passione per l’equitazione?», chiediamo. risponde: «altrochè, lui è cavaliere per professione».
siamo a monzambano, nel mantovano. in questa specie di eden sulle colline moreniche del garda gironzolano con la coda in su anche dodici cani trovatelli, chiacchierano un paio di pappagalli e sbadiglia una truppa di gatti. qui vien facile sedersi e ascoltare quello che su vita, arte e sentimenti ha da raccontare uno dei pittori italiani più amati. che te lo racconta con quella sua miscela unica di malinconia che, quando meno te l’aspetti, diventa gioia di vivere. e viceversa”. (...)

ho scritto questa cosa per lavoro. questa cosa poi prosegue con un po’ di domande e un po’ di risposte. quando ho finito di scrivere, ho pensato che il titolo giusto era “vi racconto la pittura di un ottimista malinconico”. era una proposta, che non è passata. il titolo è stato cambiato. letta la nuova versione del titolo, una collega mi ha detto che le dispiaceva: preferiva la mia. grazie, collega. e poi ha aggiunto: “forse l’ottimista malinconico eri tu”. ecco, mi sono fatto sgamare, come si diceva quando portavamo i pantaloni risvoltati fino a metà polpaccio su terrificanti calze scozzesi.

domenica 2 novembre 2008

"ne abbiamo così poco"

"vivere è come scolpire: bisogna togliere, tirare via il di più. avere orpelli e oggetti che al vivere quotidiano sono inutili provoca ansie. la vita ne offre già abbastanza, perché cercarne altre? se porto il rolex da quaranta milioni lo devo difendere. ho paura che me lo rubino, che prenda botte, che prenda umidità, ho paura di smarrirlo. così mi creo una preoccupazione, un affanno in agguato. questo vale per l'auto di lusso e altre mille cose. l'oggetto ha una precisa funzione e deve svolgere quella. l'orologio serve a misurare il tempo, l'automobile a spostare l'uomo velocemente da un punto all'altro. perciò, quando abbiamo un buon orologio e una buona automobile, dovrebbe bastare. spazzando via il superfluo potremmo investire in tempo libero. ne abbiamo così poco. sedersi, abdicare, leggere, pensare, conversare all'osteria. in altre parole, godersela un tantino prima dello scacco finale (...)".
mauro corona, "cani, camosci, cuculi (e un corvo)"

in ascensore

a milano sono finiti i tempi belli in cui, chiuso in ascensore con un estraneo, bastava un cenno d'intesa per cominciare a parlare del tempo: "fa un caldo tremendo, colpa dei condizionatori". "piove da tre giorni, chissà se smetterà". "bisogna vestirsi a cipolla". ormai il traffico ha seppellito il clima. e allora per riempire il vuoto di tre piani bisogna ingegnarsi: "la tangenziale est è peggio della ovest". "se c'è un incidente a bergamo si sente anche ad assago". "colpa di quelli che parcheggiano in seconda fila". "sul raccordo anulare di roma è peggio".
personalmente la trovo un'ingiustizia colossale: ogni giorno della settimana dovrebbe avere il suo luogo comune. per questo sto pensando a una linea di t-shirt che, indossate sotto maglioni o giacche, ci possano aiutare in questa grande battaglia di civiltà.
lunedì: "una volta si poteva dormire con la porta aperta" (maglietta girocollo con manica lunga, bianca o grey. a partire da 22 euro)
martedì: "gli italiani li trovi dappertutto" (canottiera tricolore, in omaggio se compri il girocollo del lunedì)
mercoledì: "in sicilia ci sono dei posti meravigliosi ma non sanno sfruttare il turismo" (lupetto nero, 25 euro - la versione rubata 12 euro al casello)
giovedì: "premetto che non sono razzista" (canotta xxxl al ginocchio con i colori dei detroit pistons, che non conosco. 30 dollari)
venerdì: "la colazione è il pasto più importante" (viola che va di moda, manica corta. con un euro in più sulla spesa per i possessori di fidelity card)
sabato: "sanremo era meglio l'anno scorso" (polo tipo lacoste verde scuro o azzurro. 55 euro)
domenica: "se vai col treno, poi non hai il problema di parcheggiare la macchina" (bianco-nero doubleface. la scritta sul retro sarà: "quando c'era lui i treni arrivavano puntuali". prezzo nd)

non ci sono più i diditì di una volta

"come mosche della scorsa estate, che d'inverno sono ancora qui. e rivangano immondizie andate, scontente della vita ma immuni al diditì".
sergio caputo, "effetti personali"
dopo certi momenti in ufficio, passati davanti a una macchinetta del caffé a dare un modesto contributo alla gara di lamentele tra colleghi e colleghe, penso che non ci siano più i diditì di una volta. e che caputo, più di dieci anni fa, aveva caputo tutto.

attaccamenti

certi giorni mi tornano in mente i bambini del servizio civile. bambini parecchio sfigati. stavano in una comunità in attesa di affidi e adozioni, accuditi da educatori più o meno partecipi alla loro causa e obiettori di passaggio selezionati rigorosamente a casaccio da un distretto militare. mi ricordo benissimo il pomeriggio che arrivai in quella piccola scuola adattata a comunità: "che cazzo vuoi" fu la cosa più gentile che mi dissero. eppure, pochi giorni dopo, se ne stavano aggrappati ai miei pantaloni, affezionati come dei cani scodinzolanti: per mia fortuna, avevo capito in fretta che era sufficente non far loro troppe domande e trattarli come qualsiasi altro bambino. una volta conquistata la loro fiducia, però, cominciarono i problemi. quelli veri. sì, perché qualcuno di loro si sentì in dovere di darmi una piccola idea di com'era finito in quel purgatorio di anime giustamente tolte alle rispettive famiglie.
più di dieci anni dopo, il ricordo più netto è l'attaccamento nostalgico che i bambini dimostravano comunque nei confronti dei genitori. genitori che, nella migliore delle ipotesi, li avevano messi al mondo per riempirli di botte.
non vorrei sembrasse una bestemmia. però quell'attaccamento è per certi versi simile a quello che si prova per una persona che sentimentalmente ti ha usato come scopino del cesso. ripulito il water dalle svirgolate del passato, lo scopino - che per un momento è parso importante - non serve più. eppure per mesi o anni, secondo gusti, testardaggine e sensibilità, lo scopino mantiene un irrazionale attaccamento nei confronti di quella mano che lo brandì. conosco più di uno scopino e, nel mio piccolo, qualche cesso l'ho pulito anch'io.
poi un giorno ti svegli e metti a fuoco. e vorresti un giudice cattivo che ti togliesse di peso da casa. sei pronto per farti adottare. poi, metti che non ti adotta nessuno, almeno lo scopino non lo fai più.