martedì 22 dicembre 2009

ape

ansa, ultim'ora - rinviati gli aperitivi dei milanesi per impraticabilità dei mojiti. il ghiaccio è già tutto impegnato sui marciapiedi.

consigli per il tuo eco-natale

1) il presepe. va allestito assolutamente con materiali di scarto o riciclati. un’idea innovativa può essere quella di riutilizzare come fondo “green” della messa in scena il vecchio campo del subbuteo. poi, in attesa del 6 gennaio, prepara già a parte la terna arbitrale sui cammelli. e ricorda: in palestina di solito non fiocca ma nel tuo eco-presepe è vietato sparare la neve con i cannoni.
2) l’albero. a milano ce n’è uno in piazza cordusio che s’illumina grazie all’energia fornita pedalando su alcune biciclette. è un’ottima soluzione anche per casa tua: sulle biciclette puoi far allenare un paio tra i due milioni di ciclisti professionisti squalificati per doping. così si tengono in forma prima di ricominciare con l’epo.
3) i regali. presentati con l’aria assente al momento dello scambio dei doni e, battendoti con vigore la mano sulla fronte, dì: “i miei li ho dimenticati a casa. va bene se ve li porto domani?”. così sarà molto più semplice riciclare tutti quelli che riceverai e non dovrai attendere un anno come fai di solito (ricorda però di incrociare bene i ricicli, o correrai il rischio di ridare alla zia il suo stesso pensiero: un ottimo metodo per non sbagliare è quello di inoltrare ad “a” il regalo di “b”, a “b” il regalo di “c” e così via). quelli di plastica o vetro puoi depositarli negli appositi contenitori fin dalla notte santa.
4) strenne hi-tech. quando la sera del 25 dicembre su rai 2 partirà il concerto di bocelli e su italia lo spettacolo del mago copperfield, sappi che è il tuo momento: liberati del vecchio televisore scagliandolo dalla finestra. ne guadagnerai in efficienza energetica: a gennaio 2010, infatti, ripartono gli eco-incentivi per gli elettrodomestici. giusto in tempo per la sesta serie del dottor house e la ripresa della champion’s.

venerdì 18 dicembre 2009

alla faccia

c’è niente da fare, gli anni passano. me ne accorgo da quella linea del cuscino che mi resta intagliata tra guancia e fronte al risveglio. qualche anno fa se ne andava subito, giusto il tempo di lavarsi i denti e lo sfregio notturno si riassorbiva. adesso si prende i suoi tempi: l’altro giorno sono arrivato in ufficio e c’era ancora. temo si stia avvicinando il giorno in cui mi sveglierò con questa faccia qua.

nb: si chiama “blue classic”: è una scultura famosa, mica un mio autoritratto.

giovedì 3 dicembre 2009

top ten

ho compiuto 24 mesi di vita da casalingo disperato. per festeggiare ho acceso due candeline prima di cena. poi a tavola, mentre allungavo la mano verso il bicchiere, la fiammella mi ha incendiato i peli del braccio diffondendo nell’ambiente un afrore che mi ha reso felice: il pollo arrosto nei miei 39 metri quadri non era mai stato cucinato. anche quella sera di celebrazioni, infatti, dal piatto mi guardava un anonimo ensemble di carne simmenthal, caprino molto stagionato (se non avariato) e verdure scongelate in malo modo (devo ricordarmi di comprare un phon).
la ricorrenza mi ha stimolato una top ten delle cose indispensabili nella vita di un casalingo disperato che si rispetti. eccola, quindi. vado dal basso verso l’alto per creare un clima di febbrile attesa della numero uno:
10. la tisana al finocchio. indispensabile in caso di scarsa ventilazione dovuta a un eccesso di surgelati
9. il phon. indispensabile per scongelare i cibi con la messa in piega
8. mao, gatto real-socialista maggiorenne (all’occorrenza, sessualmente consenziente)
7. compact disc di musica jazz, oggettini comprati all’hi-tech e cataloghi d’arte sparsi con cura nell’unico locale. indispensabili per impressionare eventuali malcapitate
6. volume “un uomo in cucina tutti i giorni” di bill granger, lo chef trendy che seduce ai fornelli. indispensabile per impressionare eventuali malcapitate
5. 02.66101029 (numero centro veleni niguarda). in alternativa otto confezioni di geffer per dimostrare a suon di rutti che la chimica è sempre la chimica
4. catalogo di “avventure nel mondo” per ricordarsi come comportarsi in tangenziale la mattina
3. la mamma anziana che almeno una volta al mese passa con la derattizzazione
2. divano comodo per eventuali sedute di psicoanalisi
1. un’àncora e niente uova

pazzie

“come suol dirsi, senza matti il mondo non sarebbe completo”
alfred lansing, “endurance. l’incredibile viaggio di shackleton al polo sud”

mercoledì 25 novembre 2009

casalinghi disperati – sos-tata!

il risveglio del casalingo disperato può anche essere frizzante. soprattutto se, mentre rovista nella dispensa alla ricerca del succo di frutta del mattino, sgomita una lattina di coca-cola che cade. si spacca. ed esplode. una bomba a mano. peggio, un geiser islandese su pareti, vestiti, scatolette, dentro le orecchie perfino. tirar pulita quella colla alle 7 e 40 antelucane non è possibile. la colla, quindi, mi aspetta al varco stasera, e il pensiero mi consuma più delle colichine gassose. l’idea di sfidarla con la sola forza delle braccia e di uno straccio mi rende pronto per l’analisi. ma forse, più che lo psichiatra, mi serve un sos-tata.

giovedì 19 novembre 2009

andate a casa

olmai licevo legolalmente e-mail dopo le nove della sela sull’indilizzo del lavolo. la mattina dopo, quando le leggo, non lispondo apposta: se uno vuol fale il cinese sappia che il mio account dopo le otto della sela si lifiuta di licevele posta. se invece è semplicemente stato lapito, lo scliva che mandiamo le squadle speciali a libelallo. se non è nessuna delle due, sappia allola che la statistica dimostla che solo lo 0,0001% dei lavolatoli ha tlombato una collega sulla sclivania dopo l’olalio di chiusula. ma, nel flattempo, nel 63% dei casi sua moglie a casa non sta gualdando la tele.

giovedì 22 ottobre 2009

navigando...

"susanna tamaro non scriverà più romanzi. cosa regalerò a chi mi sta sul cazzo?"
roberto rosas
(l'ho letta su internet e, come l'altra volta, non riesco a smettere di ridere)

mercoledì 21 ottobre 2009

cercasi zanzara disperatamente

tò, è arrivato il freddo. è stato via per nove mesi e mi ero dimenticato di com’è fatto. qui dove s’incrociano i navigli ci saranno sì e no 3 gradi. la mano che tiene il mouse è di ghiaccio, e non trovo nemmeno una zanzara da ammazzare per scaldarmi un po’. pensare che fino a ieri le credevo immortali.

mercoledì 14 ottobre 2009

vitamina

è un periodaccio. in ufficio faccio spesso tardi, e non per scelta, sia chiaro. io faccio fatica a far fatica. e adoro lamentarmi. l’altra sera, mentre sbuffavo in coda verso casa, mi sono tornati in mente i dieci comandamenti dei nati stanchi. alcuni sono memorabili: “ama il tuo letto come te stesso”, “se vedi qualcuno riposare, aiutalo”, “di troppo riposo non è mai morto nessuno”, “quando ti viene voglia di lavorare, siediti e aspetta che ti passi”.
più tardi a casa invece del caffè ho preso un’estrema unzione.

giovedì 8 ottobre 2009

fornelli disperati – criminal mais

il mio cibo-seriale m’ha tradito. e ho passato la notte dell’innominato: fiamme nello stomaco, sudori freddi e poi bollenti, tracce di citrosodina sul lenzuolo. mentre il campanile rintoccava le tre, io masticavo una bustina di tisana camomilla e finocchio.
chissà quale delle dieci scatolette che ho aperto ieri sera mi ha fatto male. sospetto quella di mais, ma ho un solo indizio per condannarla: ne avevo comprate due circa tre anni fa e una se n’è andata con le sue gambe in pattumiera la scorsa settimana. per evitare una seconda fuga, l’altra l’ho mangiata.

mercoledì 7 ottobre 2009

a colpi di sedano

ho lavorato per qualche tempo in un ufficio a clamorosa maggioranza femminile. tanto che, quando parte il giro di e-mail per organizzare un ritrovo tra ex, l’esordio è sempre “ciao a tutte”. ma non è solo per questo che io e l’altro poveretto senza il ciclo in copia conoscenza, ormai, a quegli inviti non rispondiamo quasi più.
l’ufficio era divorato da competizioni olimpiche e odi trasversali. che, come per magia, sembrano sopirsi quando si decide di organizzare l’aperitivo. poi però quelle tensioni riemergono piano piano anche in formato elettronico.
intorno alla trentesima e-mail le ex colleghe riescono di solito a stabilire una data buona per il drink, che salta immancabilmente dopo 12 secondi – il tempo di un “invia-ricevi” – perché quella che l’aveva proposta si ricorda di avere tai chi. alla quarantesima e-mail è invece piena bagarre sulla scelta del locale. qui il duello in punta di sedano esplode, e il partito delle vegane minaccia querele a quello delle vegetariane morbide “se non si va alla latteria ecomacrobiotica”. la distensione viene ritrovata solo nel nome della gravidanza di una delle contendenti: in questo caso l’aperitivo si può fissare anche in una tabaccheria in circonvallazione frequentata da pregiudicati, purché sia sotto casa dell’amica in dolce attesa.
poche ore prima del ritrovo arriva sempre la mail numero 57, risolutiva: l’ex collega ha appena dato alla luce un porro. e l’aperitivo, anche per quest’anno, è rinviato.

venerdì 2 ottobre 2009

approvazioni

mi capita di fare un lavoro per un cliente. come al solito, la consegna è urgentissima. faccio, spedisco e attendo il via libera per procedere con la versione approvata. com’è ovvio, la data oltre la quale, in assenza del lavoro finito e vistato, si sarebbe sciolto anche l’ultimo pezzo di polo sud e gesù sarebbe ridisceso sulla terra (ma stavolta incazzato), passa.
l’imprimatur non arriva. e io penso al documento che svolazza da una e-mail all’altra, sollecitando, con quel fastidioso punto esclamativo rosso, approvazioni sempre più in alto, sempre più in alto e ancora più in alto.
al decimo giorno dopo la “dead-line” (come dicono quelli bravi), constatato che il polo sud non c’ha ancora detto addio e di tre strani tizi carichi di doni a bordo di cammelli non si ha notizia, mi convinco che il lavoro non era poi così urgente. non mi capacito, invece, del perché un’azienda che si occupa di tecnologia debba far approvare una newsletter, oltre che dall’amministratore delegato, anche dal vaticano e da obama. poi scopro il vero intoppo: stanno attendendo l’ok dell’ex presidente e fondatore, defunto poco più di un anno fa. e il medium è a casa con l’influenza suina.

venerdì 25 settembre 2009

gas condicio

ieri sera tornando a casa ho fatto la coda in zona piazzale lotto. la coda non è mai bella, ma non tutte le code sono uguali. questa è stata emotivamente significativa perché mi sono trovato in mezzo a quelli che andavano alla "festa delle libertà". mentre respiravo i gas di scarico della maggioranza - e contribuivo con quelli del partito dei disillusi - mi sono ricordato che in questi giorni a milano va in scena il "festival dell'ambiente". ho sgasato, ho tirato un bel respiro profondo di nanopolveri, ho tossito. poi mi è venuto da ridere pensando a come possono stare insieme due parole come milano e ambiente.

"io ho sempre lavorato per l'ambiente. già a 12 anni ritiravo i fusti di olio esausto dalle officine della zona e li svuotavo nell'adda. con questo spirito di sacrificio pian piano ho aperto due discariche abusive. i primi focolai di malaria li ho avuti lì. erano anni che non si vedeva in italia. per me è stata una bella soddisfazione".
maurizio milani

mercoledì 23 settembre 2009

atleti disperati – il bigliardino

uno scende in campo con una ginocchiera buona per il football americano. un altro dà forfait per una elongazione che si procura allacciandosi le scarpe negli spogliatoi. un terzo, cianotico al ventesimo minuto di gioco, chiede di stare in porta (e c’è da discutere col portiere).
è tempo di innovare. così, dopo l’ultima partita a calcetto con gli amici, ho pensato: se stiamo tutti abbracciati a gruppi di 2, 5 e 3 – e leggermente sollevati da terra – possiamo tentare un più decoroso bigliardino-umano, che è meno traumatico per polmoni, legamenti e dignità personale. resta solo da individuare un posto politicamente corretto dove inserire il gettone.

giovedì 17 settembre 2009

fornelli disperati – il tiramisù

dopo che hai corso per 12 chilometri qualche volta ti danno un piccolo premio. beh, già il fatto di non essere defunto in gara per me è un riconoscimento. l’altra domenica, oltre alla vita, ho ricevuto in omaggio nel sacchettino postumo una confezione di mini tiramisù, della pasta, la passata di pomodoro e un’aranciata. è stato come tornare dal supermercato sudato, coi calzoni corti e l’andatura di dorando petri.
qualche sera dopo ho allestito una cena nel mio stile minimal (schiscetta della mamma riscaldata e scatolame a scelta). come “rinforzino” ho servito all’ospite un mini tiramisù, spacciandolo per una specialità. la specialità, però, si è rivelata una specie di tarocco della girella. quindi i casi sono due ("e la morale è sempre quella"): o questi scopiazzano la girella e per non avere problemi legali scrivono sulla confezione mini tiramisù, oppure son convinti davvero di fare il tiramisù ma la ricetta la prepara uno come me.
non c'entra niente, però mia sorella il tiramisù, quello vero, lo fa con i pan di stelle. dice che l’ha sentito alla radio da fabio volo. dunque, a più di quarant’anni, riesce a far convivere i chakra tibetani e radio diggei. in famiglia stiamo messi così.

ps:
caro lettore, mi piacerebbe sapere quali sono le tue merendine confezionate preferite, giusto per servirle come dolce al prossimo masochista che viene a cena da me. se vuoi collaborare te ne sarò grato, a differenza dell'ospite. io voto per il saccottino al cioccolato del mulino bianco.

lunedì 7 settembre 2009

piccoli randagismi

piccola città, domenica pomeriggio. può capitare di trascinarti sbadigliante in bicicletta per le campagne, coperto solo di una maglietta contesa ai peruviani alla bancarella, pantaloncini che metti per dormire e ciabatte infradito di fine stagione già pronte per i bidoni. quando, tutto d’un tratto, t’imbatti in un’amica che ti convince a un aperitivo nella mondanità del centro.
seduto sullo sgabello, ti senti osservato come sul palcoscenico. un modesto palcoscenico di provincia. lì per lì, c’hai quasi vergogna. poi, là per là, nella massa di poveretti e poverette in camicia bianca, polo viola firmata e scarpe da velina ti vien quasi da abbaiare ad alta voce. “bau!”. e fare orgogliosamente pipì sulla ruota della smart decappottabile.

venerdì 28 agosto 2009

fornelli disperati - lo spuntino

il problema principale per il casalingo disperato che vivacchia nel monolocale è che tutto è a portata di mano. premetto: io sono religioso, venero il maestro confuso, da non confondere con il più celebre confucio. e figurati quanto posso essere in confusione se mi sveglio affamato e assetato alle tre del mattino. striscio fuori dalla mia pozza di sudore verso le ante degli armadietti sulle tracce di un saccottino, un pezzo di fontina, una tartina con la maionese o almeno di un sorso di chinotto. robe così. ma puntualmente, là dentro gli armadietti, m’imbatto anche nel lettore mp3, nella citrosodina e nel cilicio che comprai dopo lazio-inter del 2002. così mi vien voglia di usarli tutti. comincio col mangiare biscotti al cioccolato e arance accompagnati da tre fette di prosciutto crudo o da una scatoletta di tonno (al naturale: non sono elvis presley), il tutto annaffiato da abbondante succo di pompelmo. quindi, siccome mi si piantano sullo stomaco, ingurgito rapido qualche pugno di citrosodina. nell’attesa di riaddormentarmi, digerisco sommessamente ascoltando musica in cuffia. solo se l’appesantimento è grave (o il lettore passa tiziano ferro) utilizzo il cilicio.

mercoledì 26 agosto 2009

estate parte tre – un cocktail per il veterano

le serate estive attraggono fuori casa, nelle braccia fresche di mojiti, spritz e locali con luci simil-messicane, pure i veterani. nonostante un’età buona per spingere il passeggino, molti senza famiglia si ostinano a cercare il divertimento come lo cercavano quando nel passeggino potevano starci loro. io non sono tra quelli: senza famiglia sì, ma cacciatore di divertimenti non lo sono mai stato. sbadigliavo e avevo mal di schiena a 19 anni, figurati adesso. ogni tanto, però, mi piace ancora affacciarmi in quei locali all’aperto e scoprire che il numero di scoppiate e scoppiati come me si assottiglia e si disperde tra le nuove leve dove, se non sto attento, rischio di trovarmi in faccia un: “ma zio! cosa ci fai qui?” (colpa di qualche sorella che ha fatto razza molto presto).
comunque, se sono in ballo, ballo: una birra, la patatina col peperoncino, un’altra birretta, il pollo alla texana, un digestivo o forse due. poi, se per far vedere un po’ d’abbronzatura mi sbottono come califano e prendo freddo, la mattina seguente devo far colazione con caffè, imodium e due fette di limone.
come dice il mio amico pi, “son quelle serate che ogni tanto hai bisogno di fare per capire che non devi farle più”.

estate parte due – l’antidoto

due giorni in coda sul passante di mestre. un bagno nella raccolta differenziata della grotta azzurra di capri. un’ora e mezza in fila per giocare al superenalotto e non vincere. la benzina che sale il primo di agosto e scende il 31. la coppia che, in una spiaggia semivuota, stende il telo mare a trenta centimentri dal tuo e sguinzaglia in zona due criminali che insieme non fanno sette anni.
poi vedi che torni in ufficio saltando di gioia, anche se non c’è l’aria condizionata.

estate parte uno – all’armi

si bolle. e allora, al rientro appiccicoso dalle vacanze, che cosa c’è di meglio di passare una serata a combattere con la zanzara sopravvissuta in casa dal 3 al 23 agosto? sapevo che l’avrei ritrovata proprio dove l’avevo lasciata: sotto il lenzuolo. mi sono coricato verso la mezzanotte, ho puntato la sveglia, ho caricato il fucile (sotto forma di autan spray) e ho atteso l’attacco. che è arrivato puntuale: mi ha punto sotto il piede, sta zoccola, e per grattarmi ho fatto pure una seduta di stretching. corroborato dalla ginnastica poi mi sono addormentato. ma sono stato risvegliato subito da un ronzio dentro l’orecchio (l’unico punto, insieme a denti, occhi e pudenda, dove non avevo spruzzato il veleno). e allora, complici i trenta gradi, mi sono incazzato davvero: ho mitragliato l’autan ovunque, dal cuscino alle mutande, sotto il letto e nel bicchiere d’acqua che tengo a portata di mano la notte. così, più avvelenato di una scoria nucleare, mi sono riaddormentato. ma non passa un’ora che nell’appartamento del vicino – ancora in ferie – parte un allarme a centomila decibel. la sirena si è arresa solo la mattina dopo, per esaurimento delle pile credo. speriamo almeno gli abbiano svaligiato la casa. stronzo. quando torna gli spruzzo l’autan in faccia.

alla ricerca della menata perduta

ho ricevuto una sentita contestazione per i recenti contenuti di questo luogo di cazzeggio. dice un’amica che le cose migliori le ho scritte sotto gli effetti di grandi menate (sentimentali, lavorative e così via) e, probabilmente, ora ho perso un po’ di quella ispirazione sepolcrale.
nel timore (o forse nella certezza?) che abbia ragione, ho messo a punto un programma “intensive” per ritrovare il guizzo della sega mentale: al risveglio, invece del consueto inno di mameli, recito come un mantra “le persone inutili” di paolo vallesi; in tivù seguo solo programmi-verità con interviste anonime a genitori separati; in autunno farò la comparsa nel nuovo film di muccino dal titolo “visto che era l’ultimo bacio potevi almeno usare il preservativo”; ancora, vado alla messa delle sette del mattino per accompagnare all’eucarestia le anziane zoppe; mi addormento sempre pensando alla lebbra.

venerdì 31 luglio 2009

scuse

dopo “scusa se ti chiamo amore” e “scusa ma ti voglio sposare”, è già pronto il nuovo bestseller di federico moccia. si intitolerà “scusa se vado a puttane”.
roberto rosas
(l'ho letta su internet e non riesco a smettere di ridere)

giovedì 30 luglio 2009

sudori

guardo l’albero fuori dalla finestra del mio ufficio: foglie immobili come in un quadro di de chirico. il vento, o almeno la brezzolina, in sta pianura torrida ‘e mmerda sono un optional. un optional che puoi avere solo facendo roteare le pale del ventilatore o, ma solo per i più fortunati, premendo il tasto dell’aria condizionata. io l’aria confezionata ce l’ho solamente in auto, ma l’altro giorno un tubo che la conduce ha abbandonato questo mondo, riversando sul tappetino alla mia destra un liquame orrendo e frigido. l’incidente è avvenuto di notte e la mattina sono stato accolto in macchina da un sentore di cadavere: il tappetino, già reso batterico da scarpe altrui (non riesco a guidare stando sul lato passeggero, anche quando per il caldo sul mio sedile mi arde il culo), s’era imbevuto fino a creare un effetto pulp fiction. ma a me non m’ha aiutato nessun signor wolf: ho buttato il tappetino morto da solo, con le nude mani, e mi sono messo in viaggio verso la metropoli. nonostante i finestrini abbassati l'odore del feretro ha continuato a rimanere lì, vagante nell’aria ferma. l’unica cosa non immobile dentro l’auto erano le mie gocce di sudore.
dopo aver parcheggiato, staccare i pantaloni dal sedile per scendere è stata dura. ma alla fine ce l’ho fatta, con un rumore tipo “splot”. e mi sono trascinato lento a scaldare la sedia (in senso estivo, non “brunettiano”) di chi mi paga per lasciargli la sindone delle chiappe su un tessuto verde ikea.

giovedì 16 luglio 2009

tutto davvero buono

è una serata di lavoro assai sudata. tra una cosa e l’altra trovo il tempo di appropinquarmi al discreto buffet. assaggio con giuoia i prodotti tipici offerti dal paese sponsor dell’evento. roba pesantuccia, con sto caldo. ma sarà la fame o che dal mio frigo escono solo prodotti ricercati dai carabinieri del noe (il nucleo operativo ecologico), che alla fine me la pappo. sbocconeggiando fingo di mandare sms, come tutti quelli che ai buffet non conoscono mai un cazzo di nessuno.
poi, dal nulla, spunta il pro-console del paese sponsor: “piace nostrce spescialitov?”. deglutisco un tronco di pesce del baltico agliatissimo e lo tranquillizzo subito: “tutto davvero buono, grazie”. “quale suo preferito?”, rilancia dall’alto dei suoi due metri il diplomatico. “sicuramente il vino”, e gli sorrido da un paio di spanne più in basso. anche lui mi sorride, ma per pietà: scoprirò a fine serata da un collega che il vino era l’unica “specialitov” italiana.
la classica figura di merda colossale. per fortuna, almeno, che fiammetta è entrata nella band sennò pensa che estate passavo.

venerdì 26 giugno 2009

“… e adesso ridono dentro al bar”

primo maggio 2008. dieci e venti di domenica mattina. ventesimo minuto del primo tempo. sei seduto su una panchina, non in un parco ma a bordo campo. l’orizzonte è tutto scuro e senti le gambe molli. tanto molli. sei brutto da vedere. grigiastro, direi. non c’è dubbio: stai per svenire. poi qualcuno ti passa un bicchiere di thè caldo e una bustina di zucchero.
dieci minuti prima pensavi di essere maicon. ma dai: non giocavi da un anno. c’hai la tua età, ormai. ti sei alzato alle 9:40 e non hai fatto nemmeno colazione. e se ti danno una palla lunga in profondità sapersi trattenere dall’inseguirla per forza è sintomo d’intelligenza, non di scarso impegno. che poi quella roba che hai crossato era corta anche su un campo di subbuteo. soprattutto, fare un po’ di riscaldamento non vuol dire ciondolare cinque-minuti-cinque sull’erba al sole, sparando cazzate con altri dieci aspiranti suicidi.
adesso lo zucchero ha fatto effetto. non sei più grigio topo e vorresti rientrare. per fortuna ne va giù un altro, che c’ha pure un anno meno di te, e ti tocca accompagnarlo negli spogliatoi. “stiramento”, dice. con scarsa convinzione, durante la doccia vi date appuntamento alla partita del 2009.
(quest’anno non sono svenuto, quindi non c’è molto da raccontare).

martedì 23 giugno 2009

replica

accendo la radio. al posto di uno dei miei programmi preferiti trovo un collage di robe registrate lo scorso inverno. al telegiornale hanno già mandato in onda il solito servizio del 2003 sul boom dei consumi di gelato che coincide con i primi caldi. bon. mi sento autorizzato a ripubblicare anch’io una roba che ho scritto un anno fa. control+c, control+v e siamo apposto.
che c’hai de fresco?
qualsiasi tiggì, un’edizione qualunque. da quando è smesso di piovere e ha cominciato a far caldo come in vietnam, nessun notiziario ne può fare a meno: tutti hanno il loro bel dottorone che si prodiga in consigli utili ai presunti idioti afflitti dalla calura. il professore – di solito un primario, intervistato dalla palombelli di turno – non ha dubbi: “italiani, dovete bere almeno due litri d’acqua al giorno, mangiare frutta e non uscire nelle ore più calde”.
il problema è che stando in casa nelle ore più calde, gonfi d’acqua e banane come zampogne, si finisce per guardare i telegiornali. meglio uscire, collassare dopo due bicchieri di bianco ghiacciato e l’impepata di cozze, chiudere cani e figli in macchina sotto il sole e poi finire tutti insieme al pronto soccorso dove trovi un dottore che fa il suo lavoro, al contrario dello specialista che spara cazzate in tivù.

fornelli disperati – il futurista

se non fosse per la battaglia contro la pastasciutta – che non condivido – in cucina ho scoperto di essere una sorta di “futurista”. leggo che il precursore della cucina futurista è considerato un cuoco francese, tal jules maincave. costui nel 1914 aderì al movimento artistico e, annoiato dai “metodi tradizionali delle mescolanze”, a suo dire “monotoni sino alla stupidità”, si ripropose di “avvicinare elementi separati da prevenzioni senza fondamento”. e auspicò la creazione di “bocconi simultaneisti e cangianti”. esattamente quello che faccio io, senza saperlo, quando apro le scatolette in offerta della settimana e le fondo in un unico calderone. oppure quando mescolo roba scaduta da un paio di settimane con altra che scadrà tra due mesi per bilanciare le scadenze, ottenendo simpatici arcobaleni batterici.
ma proprio mentre comincio a compiacermi dell’arte che potrebbe celarsi dietro la mia demenza culinaria, m’imbatto in quel passo sulla pasta: “l’alimento amidaceo”, sostenevano marinetti e i suoi sodali, sarebbe "colpevole di ingenerare negli assuefatti consumatori fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo”. mi domando che gli avrà fatto di così male lo spago coi frutti di mare. gli avranno rifilato del pesce avariato, mi rispondo, e non aveva tisane al finocchio a portata di mano.
nella mia enciclopedia sulla storia della cucina scopro poi che i futuristi si impegnarono anche a italianizzare alcuni termini di origine straniera. il cocktail, per esempio, divenne la polibibita (che si ordinava al quisibeve e non al bar). in modo analogo il sandwich prese il nome di traidue, il dessert di peralzarsi e il picnic di pranzoalsole. com’è evidente, i futuristi non stavano bene. ma quando l’altro giorno, nel bel mezzo di una conferenza a cinisello balsamo, c’hanno proposto un networking lunch invece del pranzo ho sentito dentro di me agitarsi il fantasma di marinetti. poi mi son fatto un piattone di pasta e sono tornato il fiacco, inattivo e neutrale di sempre. giusto in tempo per russare un’oretta davanti alla sessione pomeridiana di power point.

venerdì 12 giugno 2009

i vespi

oggi è una brutta giornata: stamani sulla radio nazionale erretielle centodueecinque è andata in onda l’ultima puntata del programma condotto a due voci da bruno e federico vespa. il conduttore di rai uno e suo figlio, proprio loro. qualche volta li ho ascoltati, credo per mettermi alla prova. è una teoria che ho mutuato da un amico: lui sostiene di fare le cose che non gli piacciono e lo mettono in difficoltà per capire le proprie reazioni. una volta per “testarsi” ha partecipato a un week end di ritiro spirituale di gruppo in abbazia: al ritorno si è trombato quella che ce l’aveva invitato. la mia conclusione è che il test non è risultato attendibile dal punto di vista scientifico.
ma tant’è. la mia coi “vespi” è tutta un’altra storia: ogni tanto ci casco mentre sono in coda in auto. annebbiato dall’umore del mattino, rimango lì. un po’ per curiosità, un po’ per masochismo, un po’ per incazzarmi. ma, soprattutto, perché mentre mi rovisto il naso con una mano con l’altra devo guidare e non posso cambiare frequenza troppo spesso. i vespi commentano fatti di cronaca e fattacci della politica. la perla dell’anno me l’ha regalata quello più giuovane dei due: “ma in fondo – ha chiesto al babbo poche mattine fa – nella busta paga degli italiani cambia qualcosa se il premier fa salire sugli aerei di stato il cantante apicella e qualche ragazzina?”.
sono quelle cose che – nel confronto – ti fanno sentire straordinariamente impegnato, intelligente, corretto, sensibile, attento, etico. perfino bello. mi mancheranno, i vespi. non vedo l’ora che arrivi settembre col nuovo palinsesto.

domenica 31 maggio 2009

sette contro sei

non aveva mai saltato una partita. ma venne il giorno. intendiamoci, era giustificato: la bambina era nata da una settimana e quel sabato pomeriggio era il suo primo sabato pomeriggio a casa. nonostante la gioia di quella famiglia accresciuta avevo colto nel tono della voce un sottile rammarico nel vedere il pantaloncino corto che sarebbe rimasto ripiegato nell’armadio. allora mi sono sentito in dovere di rincuorarlo: “dimostrati da subito un padre degenere – gli ho scritto: – lascia tua moglie a casa ad allattare e vieni a giocare. vedrai che la bimba quando sarà grande capirà. anche se ti vengono i servizi sociali a domicilio per un’ispezione, otto volte su dieci finisce lì. al massimo fai un paio di mesi dallo psicologo del comune e magari ti danno anche un assegno sociale”.
non venne e giocammo dispari per un’ora (sette contro sei). da allora tutte le sere infilo sotto gli zerbini dei compagni di squadra del calcetto un preservativo omaggio. in cambio pretendo di non pagare l’affitto del campo per tutto l’anno.

mercoledì 20 maggio 2009

oh merda!

ho un ginocchio dolorante e non posso andare in montagna. il campionato di calcio è ormai in archivio. a mostre, vernissage, teatro o cose del genere un uomo in buona salute mentale può andare solo se ci deve provare con una. per testare il mio nuovo trendy-ricettario per casalinghi disperati dovrei prima pagare la bolletta del gas. quindi, che faccio domenica prossima? andrò a serramazzoni, in provincia di modena, al “festival del letame” (http://www.caseificiosantarita.com/?page=6). per favore, niente battute sulla domenica che, si sa, è un giorno di merda. e nemmeno sul fatto che, in un paese di merda, ci mancava il festival della merda. questa è una cosa seria: andrò a conoscere “il cibo della terra” e “i prodotti caseari tipici che ne derivano”, così promette l’invito. d’altra parte, “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”, cantava de andrè, sapientemente citato dagli organizzatori del festival. qualcuno – e mi chiedo perché – quegli organizzatori li chiama anticonformisti e coraggiosi. per me sarebbero davvero coraggiosi se le mucche avessero le ali.

lunedì 11 maggio 2009

sfesteggiamenti

lunedì 5 giugno 2006. ore 20:55
mando queste poche righe per coloro che non hanno avuto il piacere di condividere con il dottor t. la gioiosa serata di sabato. l’amico ha selezionato con cura il ristorante dove festeggiare il sedicesimo e ultimo anno di università: milano, dintorni magrebini di piazzale lotto, “trattoria alla c.”. nessuna referenza sul locale. alle 21:30 varchiamo la soglia accolti dal titolare, f., sessant’enne di vibo valentia, già incazzato perché “la cucina chiude alle 22 (e relativa bestemmia)”. oltre a noi otto solo una coppia di perplessi anziani. di fronte al menù di specialità calabresi l’amico pi. domanda spiegazioni al maitre circa l’assenza della “mitica” anduia. la risposta è: “tu non capisci un cazzo”. poco prima delle ordinazioni g., collega di b., alterato dagli aperitivi si reca in bagno, minge e invece di tirare lo sciacquone apre una doccia sovrastante la turca. si ripresenta al tavolo completamente zuppo fingendo che non sia successo nulla. quindi ceniamo, senza infamia ma soprattutto senza lode. previsioni di spesa (secondo un sito che consiglia cucine decenti a buon mercato): 10 euro. totale reale: 25 euro - ma in effetti abbiamo ordinato l’impossibile. ben prima dei caffè il maitre ha già rassettato il locale, spento gran parte delle luci e abbassato quasi tutte le saracinesche: a questo punto l’amico pip. avanza l’ipotesi di un regolamento di conti proprio all’interno della trattoria. paghiamo rapidamente e riusciamo a metterci in salvo prima della probabile sparatoria. circa un'ora prima la coppia di anziani aveva lasciato il locale dopo aver pagato un modesto conto (leggi: riscatto). chiudiamo la serata in un locale semivuoto sui navigli. raggiunte le auto, l’amico pi. perde il ticket d’ingresso del parcheggio di porta genova ed è costretto a un estenuante corpo a corpo con l’egiziano alla cassa per riavere l’auto alla onesta cifra di 9 euro (l’equivalente di un fritto misto con contorno, mezzo litro di vino bianco velenoso, panna cotta, caffè e ammazzacaffè dal maitre di piazzale lotto).
una serata in linea con la carriera universitaria del festeggiato.

venerdì 8 maggio 2009

tequila brum-brum

meglio non pensare a quando, quasi vent’anni fa, ci diplomammo. quella sera in una bettola della lomellina, “tra cosce e zanzare a cui davamo del tu” – parafrasando ligabue – andammo pesanti di birra doppio malto e tequila bum-bum. oggi apprendo da un’agenzia di stampa che la tequila, letteralmente, “potrà alimentare i motori delle auto con biocarburante a basso costo”. in pratica alcuni scienziati australiani, con un processo che ho letto ma non ho capito (altrimenti non c’avrei messo sei anni per festeggiare la maturità scientifica), hanno confermato il potenziale della pianta – il cui nome è agave tequilana – per produrre etanolo, un carburante ecologico che va benone al posto della benza ma non inquina.
l'avessimo saputo, quella sera invece che vomitare nelle turche e a bordo risaia avremmo potuto riempire il serbatoio della panda. e risparmiare quelle duemila lire.

giovedì 7 maggio 2009

una storica pausa pranzo

milano, paraggi dell’arena. vedo un’insegna: “panetteria storica”. è da un po’ che sento parlare di negozi storici e di leggi per tutelarli e la cosa mi incuriosisce. in più, ho fame (sono quasi le 2 del pomeriggio). il risultato è che ci entro e chiedo una porzione di pizza (“normale, non troppo grande, grazie. sì, così va bene”). la signora che mi serve con distacco milanese pesa il trancio e poi spara il prezzo: in un nanosecondo capisco che di storico in questa bottega ci sono solo le inculate che tirano ai clienti. non riferirò la cifra roboante che ho versato alla sanguisuga in grembiule bianco perché “me medesmo meco mi vergogno”, come scrisse il petrarca per altre faccende. e nemmeno riferirò la bestemmia, appresa nei paraggi di viareggio, che ho bisbigliato dinanzi al conto.
da domani si torna alla schiscetta, anche a costo di scaldare al microonde i croccantini che potrei rubare con facilità al gatto della vicina anziana che mi adora.
ma così, purparlè, voi siete del partito della schiscia, c’avete la mensa o andate in giro a farvi rapinare?

mercoledì 29 aprile 2009

perma-flex

non s’incazzano mai. ascoltano il parere di tutti. lasciano correre. a prima vista.
a conoscerli meglio, poi, qualche volta s’incazzano. fanno finta di ascoltare ma non ti ascoltano. lasciano correre ma se ti prendono…
a prima vista, sono flessibili e non se la prendono.
a conoscerli meglio, poi, sanno essere rigidi e permalosi.
ma è là in mezzo, tra la prima vista e il conoscerli meglio, che viene il bello: perché là in mezzo riescono a essere al tempo stesso permalosi e flessibili. perma-flex, in pratica.
in questi giorni pensavo che potrei fare il leader dei materassi con gli spuntoni di vetro.

martedì 14 aprile 2009

l'acqua di pasquetta non è santa

pugni appoggiati sul tavolo a compensare un equilibrio ormai smarrito. sguardo vuoto verso l’orizzonte degli altri commensali. colorito giallastro che nemmeno in vietnam. labbro inferiore tremolante. irritabilità evidente.
nelle tre ore precedenti l’amico alle prese con l’arduo scoglio della digestione aveva ingerito (non ricordo se proprio in quest’ordine): due flut di bianco con bollicine, tre salamini al barolo, due bicchieri di grignolino, due tomini con aglio e peperoncino, un etto di carne cruda condita, tre bicchieri di barbera del monferrato, un piatto di affettati misti, un bicchiere di acqua naturale a temperatura ambiente, due etti di pane, peperoni in bagna cauda, abbondante lingua in salsa verde virata visitors, un richiamo di grignolino, imprecisate fette di vitello tonnatissimo, tre buste di grissini “baléngo”, vol au vent alla fonduta, agnolotti al ragù di carne, un richiamo di barbera, risotto agli asparagi, un bicchiere di acqua gassata piuttosto fredda, fritto misto alla piemontese (cervello, fegato, mela, amaretti, bistecchina, salsiccia e banana), un ulteriore richiamo di barbera, capretto con contorno di carote saltate con cipolla e amianto di casale, fragole con zucchero e limone (in cucina era finito l’aglio), un flut di moscato, discreta porzione di tiramisù fatto in house, caffè, due grappe e amaro della casa. e altri due grissini “baléngo”.
circa un’ora dopo, mentre guardiamo dalla collina il sole allungare l’ombra della centrale nucleare di trino vercellese, l’amico mi rutta in faccia un: “lo sapevo che non dovevo bere l’acqua fredda”.

giovedì 2 aprile 2009

koalizziamoci contro la pioggia

so di essere ripetitivo. quindi mi ripeto: la pioggia mi rompe il cazzo. c’è più traffico, ho le calze umidicce, perdo un ombrello al giorno, mi fa male una caviglia, tra i sedili del treno corrono ruscelli melmosi. e, se ritrovassi l’ombrello che ho perso, lo romperei sonoramente sulla testa di tutti quelli che mi circondano, innervositi come me dalla pioggia. e poi quelli, a loro volta, mi romperebbero un ombrellone da lungomare riminese sulla schiena o sul cofano della macchina (chissà perché tutto questo livore nei miei confronti).
ergo, meglio stare a casa, quanno chiove. propongo di “koalizzarci” contro il maltempo: se fa brutto, spegniamo la sveglia (non dico: “posponi”, dico proprio: “esci”), giriamoci dall’altro parte e aggrappiamoci a tenaglia a mogli, cuscini, cugini, gatti, figli, fidanzate, braccioli del divano, furetti, amiche, idraulici, bambole gonfiabili, mamme, cani, babbi, pesci rossi o zie. e stiamo lì. però non vorrei essere frainteso: non che col sole io vada in ufficio volentieri. nelle belle giornate dovrebbero pagarmi il triplo per lavorare perché mi stanno togliendo arbitrariamente la possibilità di andare a stendermi al mare, camminare in montagna o pirlare in bici lungo i navigli.
(rileggendomi, penso di proporre questo post come emendamento al decreto “anticrisi”).

martedì 31 marzo 2009

l’arte della rottamazione

di solito al sabato sera è impegnato a scegliere tra una frutti di mare e un calzone farcito. di solito ascolta ben harper o rino gaetano. di solito non perde una puntata di csi new york. ma per le strade non previste della vita gli capita di finire sulle poltrone della scala: di fronte al naso, l’orchestra filarmonica. poi, un’altra sera, per altre strade, altrettanto impreviste, gli capita di essere invitato all’inaugurazione di un atelier di uno scultore. e qui, il segno: l’utilitaria l’abbandona in tangenziale. con un soffio bianco dal cofano, nei pressi di un celebre rondò, gli bisbiglia (in modo anche artistico, se vuoi): “no, dallo scultore no”. pensa: è l’arte che si ribella, non c’è dubbio. e quasi s’incazza: è l’arte, intollerante, che non ci sta e lo mette fuori dalla porta, lui, i suoi telefilm e le sue pizzerie.
oppure è un buco nel radiatore, vacca puttana.

giovedì 19 marzo 2009

attendo in linea

c’è poco da fare. che tu sia montanelli, dante alighieri, uno studente di lettere o pinco pallo, ci sono periodi in cui ti metti davanti alla tastiera e le dita battono quasi da sole. e magari, battendo, tirano fuori anche cose sensate. altri periodi, invece, che ti siedi lì e non viene fuori un tubo. e per fare un tubo magari ci vogliono tre ore. dico questo perché oggi per mandare una mail – dove, in sostanza, giustificavo il fatto che non sarei andato a un convegno – sono stato in ballo quasi mezz’ora.
la cosa mi fa pensare a quegli scrittori che si son fatti la fama di essere addirittura troppo veloci nel fare il loro mestiere; come simenon. una storiella dice che churchill lo chiamò al telefono e gli rispose la cameriera: “non le posso passare il signor simenon perché sta scrivendo il suo nuovo romanzo”. e churchill: “allora attendo in linea”.

giovedì 12 marzo 2009

fornelli disperati – il biscotto del coach

dicembre.
assaggio la pasta per capire se è cotta: direi che lo è pure troppo e, soprattutto, è molto dolce (seguono improperi). ti credo: c’ho messo lo zucchero invece del sale. decido in un battito di ciglia: devo assoldare un personal trainer in cucina. mi sembra la strada giusta per porre fine agli incendi nel microonde, per dare una registrata a un’alimentazione da scatolame postatomico, per emanciparmi un po’ dalle schiscette di mammà (frequenza: almeno tre volte la settimana) e anche per dar retta una volta tanto agli astri: quelli del toro, dicono le stelle, sarebbero ottimi chef (e non parlo dei tifosi granata). assoldato il personal trainer inizio con fiducia un programma da terapia intensiva: teoria, su comodi fascicoli enciclopedici, e pratica, padella in mano, col coach alle spalle. e raggiungo anche un paio di buoni risultati: qualcosa che assomiglia a un sugo fatto in casa e un secondo piatto non uscito dal freezer.
marzo.
poi, una domenica di fine inverno, la tragedia. vedo il mio personal trainer dar fuoco a una teglia di biscotti nel suo forno. dico: nel suo forno, il forno del coach (seguono improperi, miei ovviamente. il coach non si scompone). sopra molli, sotto arsi vivi, i biscotti. e io non c’entro nulla: mi limitavo ad assistere. ora, siccome sbavo per proverbi e luoghi comuni, lo scrivo: “non tutte le ciambelle riescono col buco”. eppure nemmeno nel luogo comune trovo pace. sono a pezzi. sì, perché – altro frammento da conversazione in treno – il cattivo esempio che arriva dall’alto è devastante. adesso ho paura: e se il nero biscotto del coach mi facesse perdere la poca fiducia che mi era rimasta nelle istituzioni? rivedo già i miei fornelli disperati: sono listati a lutto, e piangono davanti a un incurabile anarchico del mestolo.
come canta jovanotti: “fàmose ‘na pizza a mezzojurno, beibeeeee…”

giovedì 5 marzo 2009

il finferlo

c’è un tale assai metereopatico. già dal letto, la mattina presto, capisce che tempo fa. e senza guardare dalla finestra: gli basta annusare il proprio umore. se c’è il sole si catapulta con una specie di carnevale di viareggio giù dal materasso. se invece piove anche solo arrivare in bagno a far pipì è una battaglia (e perderla sarebbe un guaio). se c’è nebbia, va da sé, si sente annebbiato. e se c’è vento morde come i gatti. poi, dopo un po’, gli passa tutto. però quel po’…
quel po’ bisogna farlo passare, santodio. una soluzione, pensa l’assai metereopatico, potrebbe venire dalle scienze. non ricorda bene (forse c’è nebbia) ma ha sentito parlare di una cosa che si chiama biomimesi (http://www.asknature.org) e la vorrebbe tutta per sé. acqua a catinelle? si ciuccia una provetta e si trasforma in un finferlo molto fico. sole a picco? prende la forma di una tartaruga e fa cassa con tutta quell’energia bollente che gli arriva addosso.
oggi piove. e l’assai metereopatico ha fatto fatica anche a far le scale della metropolitana. ma deve comunque ricordarsi di mandare una mail al dottor house per proporgli una puntata su un malato afflitto da biomimesi. sempre che un finferlo possa utilizzare outlook.

venerdì 27 febbraio 2009

bum

bum-bum-bum. il cuore sembra fare tira-e-molla, tira-e-molla, tira-e-molla… ribum-ribum-ribumbum. ce l’ho praticamente in gola, e adesso è in bocca. “arimo”, penso. e lui: “arivives”… e ribum! stavolta muoio. dovevo stare a casa a dormire. patabam. tanto la mia reattività oggi è quella di un collaudatore di materassi. però se batte è un buon segno, no? l’ultima volta che ho avuto ste palpitazioni stavo in cima a una salita dopo tre ore in bicicletta. stavolta a ridurmi così è bastato il poco sonno di stanotte (e il vino di ieri sera) che ho aggredito con cinque o forse sei caffé. il risultato che ho ottenuto è variopinto: una lingua gommata, un tritacarne nelle tempie, un fischio del treno costante nell’orecchio sinistro, l’acetone, uno sguardo alla luca giurato quando conduceva uno mattina, una barba incolta che devo stare con la finestra aperta per farcela stare in ufficio, una mobilità da astice vivo nella vetrina del ristorante (in effetti batto sulla tastiera con tre dita di due diverse mani unite in un’unica chela). in più non mi ricordo dove ho parcheggiato il treno (o sono venuto in macchina?).
spero che brunetta non legga mai sta roba che sto scrivendo in orario d’ufficio. anzi, c’è un form per l’autodenuncia sul sito del ministero? se sì, in cambio di tre aulin e una media di biochetasi sono disposto a compilarlo a colpi di chela. bum.

giovedì 19 febbraio 2009

vodka

“Lunedì ho bevuto con i polacchi. Martedì sono quasi morto. Mercoledì ho di nuovo bevuto con i polacchi. Giovedì ho rimpianto di non esser morto martedì”.
(da una guida turistica sulla polonia)

venerdì 13 febbraio 2009

martedì 10 febbraio 2009

meraviglie

poi mi siedo e leggo qualche riga sulla musica. qualche riga firmata dallo scrittore aldo nove che parla di un disco (come si diceva una volta) come secondo me se ne dovrebbe parlare. cioè, più con la pancia che con la tecnica. quel disco, scrive, “non dichiara impegni, è solo impegnato a tenere vivo il fuoco della meraviglia adesso, nell’esserci qui”.
è proprio quello che mi passa per la testa in queste notti di poco sonno: mi sento fieramente impegnato a tenere vivo il fuoco della meraviglia, che sia meraviglia per le cose belle, che sia meraviglia per le cose brutte. poi che in questi giorni la bilancia della mia meraviglia penda verso le prime è caso, dono divino, merito. ecchilosa. l’importante è poter riconoscere quella scarica elettrica.

lunedì 2 febbraio 2009

nella terra dei calamari

a giudicare dalla luce sta diventando sera, e siamo in quattro sulla jeep. alla guida ci sta un tale che non ho mai visto. dovrebbe essere il capo perché io, il mio amico pi e la mia elle lo abbiamo seguito senza battere ciglio e abbiamo preso posto in macchina. pi davanti, io ed elle dietro. la jeep parte lasciandosi sulla destra delle montagne che sono quasi certo di aver già visto ma non ricordo quando. (bevo). poco dopo, il fuoristrada fa su e giù per una stradina strettissima tutta fango e sassi. ormai è buio ma non sembra faccia molto più freddo rispetto a quando siamo partiti. (madonna che sete, madonna che buono il thè freddo al limone). dopo un po’ di sobbalzi stradali da playstation, sulla sinistra compare un lago. lo costeggiamo. prima che ci arrivasse l’acqua lì sotto c’era un paese: dal lago affiorano infatti un campanile qui e, laggiù, la cima di una torre crollata. dev’esserci stata un’alluvione, penso. (e ribevo: il thè è secco, sorso d’acqua interminabile allora). la jeep si ferma. nessuno lo dice ma è evidente che siamo arrivati. lasciamo la macchina e, dietro al tale che continuo a non conoscere, io, pi ed elle c’incamminiamo per un sentierino ripido. molto ripido: difatti comincio a sudare quasi subito. (è normale che abbia ancora sete? ho appena bevuto. avrò mica il diabete?). più che un sentiero ormai è una specie di scalinata di mordor che corre su nel taglio della montagna. non sono tranquillo e non saprei dire per quanto saliamo. so, però, che l’affanno cresce e mi fa piacere quando “il capo” si ferma e indica uno sperone di roccia. la nostra salita finisce qui: quello sperone grigio, franato, di pietra scura e frastagliata a quanto pare è la nostra meta. (bevo per la felicità). ci avviciniamo.
ci sono due luci, una azzurra e una bianca, che stanno come “appoggiate” allo sperone. facciamo un altro passo verso la roccia, ed è proprio come mi sembrava da lontano. mi viene la pelle d'oca. quelle luci sono in realtà due donne di venti o trenta centimetri massimo, fluorescenti come quelle statue trash delle madonnine sudamericane. sono vestite come dame di corte del medioevo. ma non sono statuine: luccicano, si muovono, ci guardano e parlano. (ho il fiato corto ma non posso fare a meno di tracannare un’altra secchiata d’acqua). la loro voce, in realtà, è appena un soffio sottile che c’impedisce di capire che cosa stiano dicendo. il capo, adesso, parla pure lui e ci sollecita: “ascoltatele. le capite?”. nemmeno il tempo di dire “no” che le dame cominciano a svanire. allora il capo, con animo: “buttate della terra sul punto dove le luci spariscono. buttatela per farle tornare!”. mi chino per raccogliere la terra. e la sento umida nella mano, quasi fangosa.

questo è l’effetto che mi può fare una pizza ai calamari fritti, cotta male e digerita peggio, se provo comunque a dormirci sopra. a distanza di due giorni, ci penso e risento ancora quella sete malata in bocca. malata come il suo sogno.

giovedì 29 gennaio 2009

l'avventore

l'avventore certe sere capita in un bar, uno di quelli che se entra una donna la vedi lampeggiare. lì dentro, per la maggior parte dei clienti, la montalcini è dove fanno il brunello; garcia marquez giocava mediano nel valencia di hector cuper; il “mistero buffo” è perché non hai giocato l’asso di cuori; l’unico scrittore contemporaneo conosciuto è giampiero mughini; e la moneta della thailandia si chiama “bath” perché là son tutte battone.
quelle sere gli piace mischiarsi e osservare. osservare anche l’altra porzione degli avventori, dove (non capisce perché) vanno e vengono il commercialista, l’avvocato, il dirigente pubblico, il giornalista, il bibliotecario, il marketing manager. e siccome alla fine se la tira, quelle sere gli viene in mente quella lettera di machiavelli...

“… ritorno all’hosteria: quivi è l’hoste, per l’ordinario, un beccaio, un mugnaio, due fornaciai. con questi io m’ingaglioffo per tutto dì giuocando a cricca, a triche-trach, et poi dove nascono mille contese et infiniti dispetti di parole ingiuriose, et il più delle volte si combatte un quattrino (…)
venuta la sera, mi ritorno in casa, et entro nel mio scrittoio; et in su l’uscio mi spoglio di quella veste cotidiana, piena di fango et di loto, et mi metto panni reali et curiali…”
lettera di niccolò machiavelli a francesco vettori, 10 dicembre 1513

giovedì 22 gennaio 2009

sono d'accordo

"... ci avevano insegnato che sui giornali bisogna raccontare l’uomo che morde il cane, ma oggi è il cane che morde l’uomo la vera notizia. Perché in un mondo di esibizionisti violenti e isterici che hanno reso rivoluzionario il buonsenso, essere normali sta diventando qualcosa di eccezionale".
massimo gramellini, la stampa

lunedì 19 gennaio 2009

omini verdi (col fischietto)

il mio amico pip è discretamente matto. e buona cosa è conoscere i discretamente matti: ti fanno cominciare la settimana recapitandoti alle otto del mattino in posta in arrivo un messaggio del tipo: “finalmente sono atterrati nel mar baltico!”. segue link a un articolo del corriere:
http://www.corriere.it/cronache/09_gennaio_18/meteorite_baltico_allarme_elmar_burchia_2468b918-e582-11dd-9276-00144f02aabc.shtml. l’articolo narra l’atterraggio di un meteorite straordinariamente luminoso che ha fatto gridare agli incontri ravvicinati (ma non so di quale tipo) con i marziani. il mio amico pip, se non s’era capito, li aspetta da anni. dal canto mio, non li aspetto. però con la crisi economica, le prodezze di burdisso, la macchina dal carrozziere, woody allen che invecchia, l'ennesima insalata ormai diventata blu in frigo e il poster di jennifer aniston che si rifiuta ancora di dormire con me, un giro sull’astronave lo farei anch’io. soprattutto, a questo punto mi auguro che i marziani rilevino la gestione del servizio effe-esse della linea che mi affligge ogni mattina: le divise dei capotreni sono già verdi, quindi niente spese inutili. bon, vado a dormire. che domani mattina devo prendere le ufo-esse abbastanza presto.

ho paura del buio

c’è una canzone che finisce così: “adesso la luce del sole è sparita, la foresta si popola di nuova vita”. nell’ultimo mese mi è capitato due volte di godermi per bene il momento in cui il buio prende il posto della luce, e di vivere questo passaggio non dal finestrino di un'auto o di un treno. e neppure dietro lo schermo di un computer né dalla finestra di casa. ma dentro un bosco. la prima volta è stata durante una nevicata memorabile. la neve, bianca e luminosa, ha tenuto in un certo modo lontano il ringhio di un paio di cani incazzati alle calcagna, domiciliati nelle cascine circostanti. la seconda è stata avvolta nella nebbia che, si sa, rende tutto un po’ spettrale. soprattutto i rami degli alberi, magri come l’inverno. questa volta a tenere a bada il brivido che corre per la schiena quando arriva il buio c’hanno pensato due gufi. abitano in un’oasi per il recupero di rapaci impallinati dai cacciatori. e in quel posto, si può dire, li ho visti crescere. chissà se un giorno li libereranno o se ormai sono talmente rincoglioniti da dover finire i loro giorni in quel gabbione: sinceramente, non ho mai avuto il coraggio di chiederlo ai loro salvatori. loro, i gufi, ti guardano guardarli da dietro le fessure. e pensano quanto sono idioti quegli esseri che prima li hanno fucilati, poi li hanno curati e adesso li spiano dal buco della serratura.
“narra una leggenda popolare che dio creò il mondo con tutti gli animali, ma che poi, riguardando il gufo, un po’ si pentì di averlo fatto così strano, con occhi così grandi, abitudini bizzarre e notturne. allora gli volle fare un grande dono: sarebbe diventato l’animale della buona sorte, quello che avrebbe sempre portato con sé i buoni auspici per migliorare la vita di coloro che se lo sarebbero tenuto vicino, senza averne paura”.
(grazie ad a + elle per aver diviso con me quei diversi tipi di buio. e grazie ad a per la "leggenda del gufo").

sabato 17 gennaio 2009

la seconda impressione

quattro anni fa, più o meno mezzogiorno. un bel mezzogiorno di una bella giornata di sole, quel sole limpido e gelato che c’è solo in montagna in pieno inverno. il paese è in fermento: il giorno dopo c’è la gara di discesa libera valida per la coppa del mondo. qui il fermento comincia alle sette del mattino e l’unico che va al bar a fare colazione alle 12 sono io. anzi, oggi non sono solo: un camperista esce dalla sua casa su ruote, barba di una settimana, occhiali da sole, aria di chi ha dormito molto poco. addosso maglietta, giubbotto di jeans e scarpe da ginnastica slacciate (ci saranno sì e no due gradi). entra al bar e ordina una birra per colazione. abituato al milanese con il suv e la bionda abbronzata, il barista dell’hotel valtellinese lo guarda come si guarda un delinquente. e prima di versargli la birra vaga con lo sguardo pensando “che barbon” e cercando l’intesa di qualche mummia seduta ai tavoli col decaffeinato.
il giorno dopo - con la barba di una settimana più un giorno, il casco al posto degli occhiali da sole, la tuta della nazionale americana invece del giubbotto di jeans - sugli sci a 130 all'ora bode miller ha vinto la discesa libera. secondo, a quasi un secondo, è arrivato uno svizzero che probabilmente era andato a dormire alle cinque del pomeriggio.

domenica 11 gennaio 2009

matematica


secondo gli organizzatori, questo blog (nella sua vecchia versione) è stato visitato da mille lettori. secondo la questura, i lettori sono stati due.

sabato 10 gennaio 2009

buon anno?

“se son d’umore nero allora scrivo”, dice una canzone. nel mio piccolo, succede anche a me. ma mi capita di scrivere anche perché sono di buon umore. da qualche tempo, però, non ho più un umore. è per questo che aggiorno con troppa parsimonia questo spazio di cazzeggio: avevo cominciato a scrivere per un’esigenza e perché avevo delle storie (mie, delle persone con cui passo un po’ del mio tempo, inventate) che mi giravano in testa. era un modo di scaricare energia e di riprendermela sotto diversa forma. ora quell’esigenza è in un certo modo finita e quelle storie faccio sempre più fatica ad afferrarle. comunque, visto che ci siamo, per il 2009 auguro a chi passa di qui “pace, risate, fatica, e fiori nei campi di ortica”, come dice un’altra canzone. a me auguro un buon 2010, che il 2009 m’ha già scassato.

fontane

passo davanti a una fontana semigelata, in questi giorni di freddo torrido. la guardo e mi vengono in mente i versi di petrarca: "fontana di dolore, albergo d'ira". e mi chiedo se sia giusto.