lunedì 2 febbraio 2009

nella terra dei calamari

a giudicare dalla luce sta diventando sera, e siamo in quattro sulla jeep. alla guida ci sta un tale che non ho mai visto. dovrebbe essere il capo perché io, il mio amico pi e la mia elle lo abbiamo seguito senza battere ciglio e abbiamo preso posto in macchina. pi davanti, io ed elle dietro. la jeep parte lasciandosi sulla destra delle montagne che sono quasi certo di aver già visto ma non ricordo quando. (bevo). poco dopo, il fuoristrada fa su e giù per una stradina strettissima tutta fango e sassi. ormai è buio ma non sembra faccia molto più freddo rispetto a quando siamo partiti. (madonna che sete, madonna che buono il thè freddo al limone). dopo un po’ di sobbalzi stradali da playstation, sulla sinistra compare un lago. lo costeggiamo. prima che ci arrivasse l’acqua lì sotto c’era un paese: dal lago affiorano infatti un campanile qui e, laggiù, la cima di una torre crollata. dev’esserci stata un’alluvione, penso. (e ribevo: il thè è secco, sorso d’acqua interminabile allora). la jeep si ferma. nessuno lo dice ma è evidente che siamo arrivati. lasciamo la macchina e, dietro al tale che continuo a non conoscere, io, pi ed elle c’incamminiamo per un sentierino ripido. molto ripido: difatti comincio a sudare quasi subito. (è normale che abbia ancora sete? ho appena bevuto. avrò mica il diabete?). più che un sentiero ormai è una specie di scalinata di mordor che corre su nel taglio della montagna. non sono tranquillo e non saprei dire per quanto saliamo. so, però, che l’affanno cresce e mi fa piacere quando “il capo” si ferma e indica uno sperone di roccia. la nostra salita finisce qui: quello sperone grigio, franato, di pietra scura e frastagliata a quanto pare è la nostra meta. (bevo per la felicità). ci avviciniamo.
ci sono due luci, una azzurra e una bianca, che stanno come “appoggiate” allo sperone. facciamo un altro passo verso la roccia, ed è proprio come mi sembrava da lontano. mi viene la pelle d'oca. quelle luci sono in realtà due donne di venti o trenta centimetri massimo, fluorescenti come quelle statue trash delle madonnine sudamericane. sono vestite come dame di corte del medioevo. ma non sono statuine: luccicano, si muovono, ci guardano e parlano. (ho il fiato corto ma non posso fare a meno di tracannare un’altra secchiata d’acqua). la loro voce, in realtà, è appena un soffio sottile che c’impedisce di capire che cosa stiano dicendo. il capo, adesso, parla pure lui e ci sollecita: “ascoltatele. le capite?”. nemmeno il tempo di dire “no” che le dame cominciano a svanire. allora il capo, con animo: “buttate della terra sul punto dove le luci spariscono. buttatela per farle tornare!”. mi chino per raccogliere la terra. e la sento umida nella mano, quasi fangosa.

questo è l’effetto che mi può fare una pizza ai calamari fritti, cotta male e digerita peggio, se provo comunque a dormirci sopra. a distanza di due giorni, ci penso e risento ancora quella sete malata in bocca. malata come il suo sogno.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Mètiu anch'io ieri sera pizza ai calamari fritti (+ patatine fritte ketchup e maionese), nessun sogno (stato di morte apparente?!)stessa sete che non accenna a passare... se continua così mi sa che stanotte avrò qualche possibilità di incontrare in sogno le damine perchè anche se mi inquietano un po'...muoio dalla curiosità di sapere cosa volessero dire!Antolì

metiu (scappato di casa) ha detto...

burp!
credo di aver digerito, finalmente.
antolì, comunque stai tranquilla che non basta una pizza per avere certe apparizioni mistiche: io ho dovuto prima bruciarmi completamente il cervello.
a presto
-m